Dall’assalto al Congresso con le armi e le corna da sciamano all’assalto politico allo speaker della Camera Kevin McCarthy il passo è più breve di quanto possa sembrare.
È assurdo, naturalmente, paragonare uno storico caso di violenza politica e terrorismo domestico a una manovra di palazzo brutale ma condotta dentro l’alveo delle regole democratiche, ma entrambe le circostanze sono figure dello spirito trumpiano, hegelianamente parlando.
La cacciata di McCarthy dal vertice della Camera dice che Donald Trump ha vinto. L’assalto al Congresso della folla inferocita e aizzata dall’ex presidente si è infine compiuto in forma politica, con la corrente dei pretoriani del trumpismo che tiene in ostaggio per mesi e fa infine capitolare un leader placido e di conio tradizionale, un difensore del partito “big tent”, la grande tenda sotto la quale convivono diverse sensibilità conservatrici. Non è questo il progetto del leader nazional-populista.
Progetto rudimentale
Trump ha vinto non perché sta dominando nei sondaggi delle primarie repubblicane, dove umilia gli avversari senza nemmeno abbassarsi a dibattere con loro in televisione.
La sua vera vittoria consiste nell’aver riempito il Congresso di figure come Matt Gaetz, il killer politico di McCarthy, nell’aver reso competitivi candidati che erano impresentabili, nell’avere modificato il codice genetico del Partito repubblicano, cambiandone l’agenda, le priorità, i valori, lo stile, il rispetto istituzionale.
La vittoria di Trump si manifesta nell’idea stessa di una corrente corsara ed estremista di pugnalare lo speaker del proprio partito, un progetto politicamente suicida e illogico che però corrisponde perfettamente al piano di Trump di distruggere tutto ciò che puzza di establishment e poi fare un giro trionfale sulle macerie. Progetto rudimentale ma efficace.
Tutti questi istinti e desideri di distruzione delle istituzioni sono ormai incorporati nella grammatica del Partito repubblicano traumpizzato, e rimarranno anche se Trump non sarà il candidato del Gop, anche se verrà condannato e incarcerato, anche se dovesse perdere di nuovo contro Joe Biden alle elezioni generali nel novembre del prossimo anno.
La fase istituzionale
Non è tutto. Dopo la preistoria distruttiva, il trumpismo sta vivendo una specie di fase istituzionale. Gli adepti di Trump sono penetrati nelle strutture burocratiche, governano le varie articolazioni statali del partito, sono rappresentati nella magistratura e nei poteri locali, stanno perfino lavorando per cambiare le regole delle primarie in modo da avvantaggiare ulteriormente l’ex presidente. Possono controllare la maggioranza della Camera e lo hanno dimostrato con un colpo di mano quasi senza precedenti nella storia american.
In un certo senso, sembra che i trumpiani non abbiano nemmeno più bisogno di Trump per portare avanti il verbo nazionalista e protezionista del loro idolo, che può rimanere tranquillamente sullo sfondo a fare comizi e a capitalizzare politicamente i suoi guai giudiziari.
La clamorosa decapitazione politica di McCarthy segna l’inizio dell’età adulta – se così si può definire – del trumpismo, che ha sempre meno bisogno della protezione e della guida del leader per dare vita a iniziative gravide di conseguenze politiche.
Non è stata una semplice congiura di palazzo far fuori McCarthy: è stata la conseguenza inevitabile di modifiche profonde che Trump ha imposto al partito, nominando poi fedeli esecutori in grado di metterle a sistema.
© Riproduzione riservata