Non si spengono le polemiche attorno alle elezioni Usa e intanto il flusso di fake news ha creato una realtà alternativa nella quale credono molti americani che hanno votato Trump. Non è un fenomeno inconsueto: tanti democratici liberal credono ancora che le elezioni del 2000 siano state vinte da Al Gore o che la vittoria di Trump nel 2016 sia stato un colpo di fortuna, dovuto alle manipolazioni russe. La crisi della democrazia emerge da tali fenomeni in cui “verità alternative” messe in campo assumono valore di fatti. Con social e moltiplicazione delle informazioni, ognuno può costruirsi la sua realtà; è spinto a essere solo e a vedersela con le sue emozioni.

Problemi in casa dem

Questa fase crea un problema ai democratici Usa, come si è visto alle elezioni senatoriali e per il congresso. Non c’è stata la marea blu che si prevedeva (blu è il colore del partito): il senato probabilmente resterà in mano repubblicana, a meno di miracoli nei due ballottaggi in Georgia, mentre la maggioranza al congresso si è assottigliata. Malgrado Biden abbia vinto bene, il partito resta dilaniato da un malevolo dibattito intestino sulle responsabilità. Molti analisti sostengono che le posizioni della sinistra liberal su Black Lives Matter siano state esiziali per i democratici, in particolare la richiesta di definanziamento della polizia (defund). I candidati repubblicani hanno avuto buon gioco ad accusare di socialismo i loro contendenti dem, anche se moderati. Certo non ha aiutato l’idea di liste di proscrizione propagandate dai liberal, su chi ha lavorato nell’amministrazione Trump. Ha fatto scalpore anche la proposta di Robert Reich, ex ministro del lavoro di Clinton, che ha chiesto una commissione verità e riconciliazione alla sudafricana per gli stessi.

L’atteggiamento dei liberal più aggressivi ha spaventato anche le constituencies che avrebbero dovuto compattamente votarli come i latinos e gli asiatici. La politica basata sull’identità non ha giovato. Il partito si è presentato come una coalizione di spezzoni identitari, una specie di movimento arcobaleno dall’atteggiamento intransigente, senza proporre una visione complessiva per il futuro dell’America.

Politica identitaria

È mancato il disegno dell’America di tutti, un senso di appartenenza largo di cui sentirsi parte. Invece ci si è persi guardando indietro nello specchietto retrovisore, frutto del cedimento alla cancel culture che tanto piace ad alcune figure molto mediatiche e liberal del partito. Secondo costoro bisogna rivedere il passato prima di affrontare il futuro: nello specifico fare i conti con i bianchi, da sempre privilegiati, senza celare rancore e revanchismo.Inutile giustificarsi con le esecrabili violenze dei suprematisti bianchi, proud boys e dintorni: tutto porta a credere che la sinistra liberal identitaria sia caduta nella trappola della destra identitaria e utilizzi, in modo certo più sofisticato e raffinato, gli stessi schemi e riproduca le medesime pulsioni. Finché all’interno del partito prevarrà la spinta a punire il passato, a cancellarlo o a tribunalizzarlo, i democratici non riusciranno a creare una grande e nuova coalizione vincente per il futuro.

Non basta che una cosa sia giusta perché divenga buona per tutti. Un partito democratico aggressivo, basato sulle identità di gruppo, non andrà lontano. Aver riportato il dibattito razziale sul tavolo politico in un quadro di risarcimento del passato ha un sapore di ritorsione che fa effetto boomerang. La storia non può essere utilizzata con leggerezza come materia di parte. Il passato non si porta in tribunale ma lo si storicizza. È noto che gli americani sono poco inclini alla storia e moralizzano tutto: nelle emozioni collettive contano ancora le vicende della guerra civile, della stagione dei diritti civili o le paure legate allo schiavismo. Ma Martin Luther King e Mandela insegnano che solo guardando insieme al futuro si può purificare e curare il passato. Non si tratta di essere moderati o buonisti invece che inflessibili e giusti, ma saggi e pratici: nel futuro si va insieme. Per uscire dal trumpismo serve un nuovo sentimento comune, non una criminalizzazione collettiva: lezione utile anche per le sinistre europee alle prese con sovranismi identitari.

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