Sono bastate circa ventiquattro ore per attivare la propaganda del governo libico in risposta all’accordo Ue-Tunisia firmato la scorsa domenica a Tunisi tra il presidente Kais Saied, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e i premier Mark Rutte e Giorgia Meloni.

Il giorno seguente la firma dell’accordo che prevede in totale circa 255 milioni di euro da iniettare nelle casse tunisine anche per contrastare l’immigrazione illegale, Tripoli ha deciso di attaccare Saied mostrando dei video di come il suo governo abbandoni i migranti subsahariani nel deserto lungo il confine con la Libia.

Nelle ultime settimane, le autorità tunisine hanno caricato in decine di autobus cittadini subsahariani per abbandonarli, poi, nel caldo torrido del deserto, spingendoli così a ritornare nei loro paesi di origine.

A distanza di diversi giorni, lungo il confine libico e quello algerino ci sono ancora centinaia di persone, su oltre mille che sono state deportate. Di queste, ne sono morte almeno 15 ma per le ong sono ancora cifre al ribasso.

La propaganda libica 

I video diffusi dal ministero dell’Interno libico sono pura propaganda scenica. Immagini girate con i droni, a bordo di auto che sfrecciano nel deserto e che mostrano la sofferenza dei migranti incontrati lungo il confine. Si vedono le autorità libiche fornire acqua ai migranti subsahariani abbandonati in mezzo al deserto.

Il tutto corredato da una serie di interviste che hanno lo stesso mantra: «Grazie alla Libia per averci accolto e salvato»; «ci hanno fornito un posto dove stare, cibo e acqua»; «i tunisini ci hanno abbandonati in mezzo al deserto e hanno minacciato di ucciderci»; «grazie per avermi dato anche nuovi vestiti». Sono queste le dichiarazioni rilasciate a turno dai migranti agli agenti del governo del premier Abdel Hamid Dbeibeh.

Una situazione surreale visto il trattamento che le forze di sicurezza libiche e le brigate che controllano il territorio hanno riservato per anni ai subsahariani arrivati nel paese per cercare di salpare verso l’Europa. Stiamo parlando dello stesso paese con cui l’ex ministro dell’Interno del Partito democratico, Marco Minniti, ha firmato un Memorandum of understing che aveva il fine di finanziare ed equipaggiare la guardia costiera del paese, protagonista di numerosi e verificati respingimenti illegali.

Ed è lo stesso paese accusato dalle Nazioni unite di aver creato dei centri di detenzione diventati dei lager, nei quali i migranti erano in uno stato semi detentivo e subivano trattamenti inumani e degradanti.

L’Ue sotto ricatto

Tuttavia, non stupisce la strategia libica, che se da una parte prova a mettere in cattiva luce la Tunisia (paese dove Saied tra le altre cose ha ospitato in esilio l’ex premier e oppositore di Dbeibeh della Cirenaica, Fathi Bashagha, fino alla primavera del 2022), dall’altra ha lo scopo di denunciare come l’Europa abbia chiuso un occhio sulle violazione dei diritti umani firmando il tanto atteso Memorandum.

Una strategia che perseguita un obiettivo: ricattare Bruxelles per chiedere nuovi finanziamenti. Dopo Tunisi, anche Tripoli vuole i soldi dei governi europei in un momento in cui sembrano nascere di nuovo le basi per portare avanti quel processo di transizione politica avviato sotto l’egida delle Nazioni unite a Ginevra e interrotto due anni fa.

Proprio per questo lo scorso 7 giugno il premier libico del governo di unità nazionale, Dbeibeh, era venuto a Roma a incontrare Giorgia Meloni dove ha firmato accordi in natura energetica e di gestione delle frontiere.

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