TikTok ha ammesso di avere segretamente tracciato i dati sensibili di due giornaliste – Emily Baker-White di Buzzfeed e Cristina Criddle del Financial Times – inclusa la loro geolocalizzazione, per cercare di scoprire chi erano le fonti interne all’azienda cinese che hanno fatto filtrare vari documenti interni e informazioni riservate.

Baker-White e Criddle hanno firmato negli ultimi mesi diversi articoli esplosivi su irregolarità di TokTok nella gestione dei dati e sulle pessime condizioni di lavoro offerte ai dipendenti.

Quella di TikTok non è però una vera ammissione di colpa. I vertici di ByteDance, che controlla la piattaforma, hanno scaltramente presentato il fatto come un’operazione di pulizia interna per punire alcuni dipendenti che, in modo incredibilmente indipendente, hanno frugato nei dati teoricamente protetti e intoccabili di giornalisti nella foga di andare a scoprire l’identità delle talpe nell’azienda. 

Per rendere il tutto più trasparente e in linea con i professati valori aziendali, il gruppo ha fatto sapere di avere condotto l’indagine attraverso un’azienda indipendente (non hanno detto quale), e l’amministratore delegato di ByteDance, Rubo Liang, ha spiegato in una email interna che questa è solo una brutta storia di mele marce: «La fiducia che abbiamo costruito con sforzi enormi sarà minata in maniera significativa dai comportamenti scorretti di alcune persone». 

I quattro dipendenti – due in Cina e due negli Stati Uniti – sono stati licenziati e la ricostruzione della vicenda è stata trasmessa ai media. Ma il caso apre molti più problemi di quanti ne risolve.

Innanzitutto, non è possibile stabilire se quella rivelata da TikTok come un’eccezione prontamente corretta non sia in realtà una regola. Non sappiamo se i dipendenti abbiano messo le mani dove non dovevano per iniziativa personale o se lo abbiano fatto obbedendo a ordini superiori, e anche nel primo caso rimangono aperte molte domande sulle procedure di controllo.

Inoltre, la rivista Forbes, che per prima ha scritto delle intrusioni indebite del social sui profili di utenti sgraditi e giornalisti, sostiene che anche tre suoi cronisti che si sono occupati di TikTok sono stati tracciati, cosa che l’azienda invece non conferma.

Mentre i Twitter files dati da Elon Musk a un gruppo di giornalisti e largamente ignorati dalla stampa americana di tendenza liberal mostrano che la piattaforma bandiva o oscurava i contenuti in base alle preferenze politiche dei suoi manager o su indicazione delle autorità, TikTok spiava due giornalisti e niente ci può assicurare che la cosa non sia avvenute e tuttora avvenga in maniera sistematica e su larga scala. 

E qui c’è l’aggravante geopolitica. Il gruppo cinese è da anni in tensione con la Casa Bianca sul tema della sicurezza dei dati e un disegno di legge al vaglio del Congresso doverebbe vietare di scaricare l’app sui device del governo federale, come previsto già in 19 stati americani. 

L’azienda ha fatto di tutto per rassicurare gli americani sul fatto che i dati degli utenti sono sicuri e lontani dalle mani del regime di Xi Jinping, e quando è scivolata, come in questo caso, ha apparecchiato raffazzonate operazioni di comunicazione per spiegare che il problema era stato affrontato e risolto. Difficile crederci, ma la piattaforma ha dalla sua l’argomento quasi invincibile della crescita.

Lo scorso anno ByteDance ha fatturato 58 miliardi di dollari, TikTok ha avuto più visitatori di Google e ha stravinto la battaglia dell’attenzione con YouTube. Ha impiegato cinque anni per raggiungere 1 miliardo di utenti, traguardo che Facebook ha raggiunto in nove anni. Non sarà un’incursione nei dati dei giornalisti a fermare l’inquietante avanzata di questo colosso.

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