«Noi, popolo tunisino, approviamo». È con un lungo preambolo a nome del popolo con continui riferimenti alla thawra, la rivoluzione, che si apre il testo della nuova Costituzione della Tunisia, tanto da far pensare che si tratti del risultato di un processo collettivo e partecipato. A scriverlo, però, è un ristretto gruppo di esperti nominato direttamente da Kais Saied, presidente che dal 25 luglio dell’anno scorso tiene strette le redini del paese affiancato da un governo, senza parlamento.

Dietro il progetto di Costituzione non c’è quindi un’assemblea costituente, ma un decreto presidenziale che a fine maggio ha istituito l’istanza detta «per la riscrittura della Costituzione». 
In appena un mese, il testo era già pronto: Sadok Belaïd, accademico e presidente dell’istanza, l’ha consegnato al presidente tunisino il 20 giugno. I cittadini venivano informati dell’incontro attraverso i canali social della presidenza. In assenza di una conferenza stampa, nessuna informazione sulla bozza è trapelata fino al giorno della pubblicazione integrale sulla gazzetta ufficiale della Repubblica, giovedì 30 giugno. Inizia così il secondo luglio “caldo” della Tunisia, che si concluderà con un referendum costituzionale indetto il 25 luglio, festa della Repubblica nonché giorno in cui Saied ha congelato le attività del parlamento ormai un anno fa.

Una Costituzione durata otto anni

Se dovesse venir approvata (come probabilmente accadrà, non essendoci un quorum), la nuova Costituzione sostituirà quella del 2014, frutto di un difficile compromesso tra le parti politiche negli anni post rivoluzione, spesso citata come modello perché garante di importanti diritti fondamentali. Elaborata dopo la caduta di Ben Ali, avrebbe dovuto proteggere il paese dal rischio di autoritarismo, attribuendo al presidente della Repubblica un ruolo marginale. Per otto anni, però, quel testo fondamentale lodato dalla comunità internazionale è stato costantemente violato perché presidenza, governi e parlamento non hanno mai nominato una Corte Costituzionale. Senza l’organo garante dell’effettivo rispetto della Costituzione, quindi, gli articoli sono rimasti una semplice traccia, difficile da far valere nei tribunali tunisini.

A provarlo, è il destino della giustizia di transizione: «da maggio 2018, almeno dieci processi per la repressione violenta della rivoluzione hanno preso avvio presso le Camere penali speciali, istituite per occuparsi dei reati commessi durante la dittatura, ma non è stata emessa ancora alcuna sentenza. I funzionari del ministero dell’Interno attuale e passato si sono rifiutati di rispondere ai mandati di comparizione del tribunale», ricordava in un comunicato Amnesty International in occasione dei dieci anni dalla rivoluzione di gennaio 2011.

Senza Corte Costituzionale, il lungo percorso di transizione democratica della Tunisia, troppo spesso dato per assodato, in realtà non si è mai concluso. Gli stessi partiti che oggi si oppongono a Kais Saied in nome della “ritorno alla democrazia” – l’ex partito di maggioranza Ennahda in primis – hanno accuratamente evitato di portare a termine il processo democratico, ritardando per anni l’istituzione della Corte.

Proprio a causa delle lacune di quello che è stato raccontato come “il modello tunisino” il paese oggi prende tutt’altra direzione. Il 25 luglio 2021, Kais Saied ha congelato le attività del parlamento appoggiandosi proprio su un’interpretazione dell’articolo 80 dell’ormai ex Costituzione, che prevede la possibilità di prendere generiche «misure eccezionali in situazione di pericolo imminente» con l’approvazione di governo e parlamento, che però non sono mai stati interpellati.

Nei mesi che hanno seguito la decisione del presidente, un gruppo di avvocati e alcuni deputati dell’opposizione hanno tentato di far valere l’incostituzionalità di tale misura, senza mai riuscirci.

Il testo fondamentale completerebbe quel processo di accentramento del potere e smantellamento dello Stato di diritto iniziato un anno fa dal presidente, mettendo nero su bianco quel funzionamento delle istituzioni che già trova conferma nei fatti e sancendo il ritorno all’iper-presidenzialismo della Tunisia. Il nuovo testo fondamentale stabilisce che «il Presidente della Repubblica esercita il potere esecutivo, assistito da un governo presieduto da un capo del governo da lui nominato», governo che però non sarà presentato al Parlamento per ottenere la fiducia.

Supporters of the Tunisian General Labor Union (UGTT) gather during a rally outside its headquarters in Tunis, Tunisia, Thursday, June 16, 2022. A nationwide public sector strike in Tunisia is poised to paralyze land and air transportation and other vital activities with the North African nation already in the midst of a deteriorating economic crisis. Writing on placard reads “Public and private sectors are important support for the public” (AP Photo/Hassene Dridi)

Niente indipendenza dei giudici

Contrariamente alla Costituzione del 2014, l’indipendenza degli organi giudiziari non è garantita e il presidente non è tenuto in alcun modo a rendere conto delle proprie decisioni. Nonostante il parlamento torni quindi ad avere un ruolo marginale, la nuova Costituzione mette fine al monocameralismo, istituendo due camere: l’Assemblea dei rappresentanti del Popolo e una sorta di consiglio delle Regioni. Da mesi, infatti, circolano voci sulla volontà di Kais Saied di mettere al muro i partiti attraverso un nuovo sistema di assemblee regionali elette a suffragio universale diretto.

Inizialmente, le dichiarazioni di Saied facevano pensare a una possibile riorganizzazione del parlamento per garantire maggiore rappresentatività ai territori. Una delle prime misure prese dalla presidenza, invece, è stata quella di accorpare il ministero delle collettività regionali - a cui i rappresentanti dei governatorati facevano riferimento - a quello dell’Interno.

Secondo informazioni ottenute dal quotidiano Le Monde, i governatorati tunisini verranno presto ridotti da ventiquattro a quattro macro-regioni. Quanto ai deputati delle due camere, verranno eletti a dicembre 2022. Non si sa ancora secondo quale legge elettorale, e se questa includerà i partiti.

Nonostante il progetto di Costituzione continui, almeno in teoria, a garantire alcuni diritti fondamentali come la libertà di stampa, il diritto allo sciopero (ma non per giudici, polizia ed esercito) o quello di manifestare, alcuni articoli restano molto vaghi o di dubbia interpretazione, come quello sul «diritto alla vita», «sacro e intoccabile se non in casi estremi determinati dalla legge», che potrebbe essere invocato per limitare l’accesso all’aborto, legale in Tunisia dal 1973. Un articolo simile era però già presente nella Costituzione del 2014.

Al di là delle garanzie date dal testo, nella Tunisia di Kais Saied continuano ad aumentare gli abusi delle forze di polizia nei confronti di qualsiasi opposizione, a partire dalla stampa, così come l’uso della giustizia militare per processi civili.

«La democrazia è un privilegio»

A un anno di distanza dalla presa di potere del Presidente, le voci critiche legate alla società civile o al mondo degli intellettuali si moltiplicano. Kais Saied continua però a godere del sostegno silenzioso di buona parte della popolazione, che considera la svolta autoritaria una tappa necessaria per eradicare la corruzione.

«La democrazia è un privilegio che non ci possiamo più permettere», riassume Marwa, insegnante, per le strade del mercato di Tunisi. Per una parte dell’opinione pubblica tunisina, infatti, partito è sinonimo di clientelismo, e Kais Saied non aveva altre opzioni se non quella di escludere il parlamento dalla vita pubblica.

Eletto nel 2019 con il 70 per cento dei consensi contro Nabil Karoui, un uomo d’affari tunisino accusato di corruzione, Saied ha promesso in campagna elettorale una sorta di operazione “mani pulite” nel paese, facendo leva sulla rabbia dell’opinione pubblica nei confronti di quella manciata di famiglie che continuano a spartirsi buona parte dell’economia tunisina sfruttando, effettivamente, appoggi politici. Per ora, però, cause e arresti sembrano prender di mira non tanto l’élite economica, quanto quella politica. A finire in tribunale sono gli esponenti del partito d’ispirazione islamica Ennahda o quelli del suo alleato più radicale, Al-Karama. Il 23 giugno, la polizia ha arrestato l’ex premier di Ennahda, Hamadi Jebali, con l’accusa di riciclaggio.

Appesi al Fondo monetario

Più che le manifestazioni di piazza portate avanti dai partiti di opposizione, a far traballare il consenso silenzioso di cui gode Saied potrebbero essere le decisioni che il governo sarà costretto a prendere nei prossimi mesi in caso di accordo con il Fondo monetario internazionale.

A fine giugno, l’Fmi ha annunciato di aver ricevuto l’ok da parte del governo di Najla Bouden per procedere con nuove negoziazioni. In cambio di una tranche di aiuti che permetterebbe alla Tunisia di evitare un non improbabile default, a Kais Saied toccherà giustificare all’opinione pubblica l’impopolare taglio dei sussidi ai generi alimentari di prima necessità come il pane, proprio nei mesi in cui il prezzo della farina non fa che aumentare.

In un contesto di aumento dell’inflazione – che torna a raggiungere le percentuali del periodo pre rivoluzione del 2011 – nuove proteste di piazza combinate a un regime iper-presidenziale rischiano di tradursi in un aumento della repressione.

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