L’anno in cui il sistema di protezione dei diritti umani collassò. Questo potrebbe essere il sottotitolo del Rapporto 2023-2024 di Amnesty International, appena diffuso. Circa 600 pagine, nell’edizione italiana pubblicata da Infinito Edizioni, che raccontano come sono stati violati i diritti umani nel 2023 in 155 stati.

Il mondo ha fatto passi indietro di decenni. La condotta di guerra, nei due noti conflitti in Europa e in Medio Oriente e in quelli ignorati in Africa e Asia, ha mandato in crisi il sistema di protezione delle popolazioni civili che, sin dal secondo dopoguerra, si era basato sulla supremazia del diritto internazionale umanitario. Attacchi diretti contro zone a fitta densità abitativa, attacchi mirati contro infrastrutture civili fondamentali, trasferimenti forzati di popolazione, uccisioni illegali di civili, cattura di ostaggi e loro prolungata detenzione: tutto questo lo abbiamo visto nel proseguimento della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina così come, dal 7 ottobre, nell’ennesimo conflitto tra Israele e Hamas.

Il sistema internazionale di protezione dei diritti umani è collassato anche grazie all’inazione del Consiglio di sicurezza: se nel decennio scorso era stata la Russia a usare il potere di veto per proteggere la Siria, in questi ultimi mesi sono stati gli Stati Uniti a bloccare risoluzioni per risolvere la crisi in Medio Oriente, proteggendo così Israele (e pure continuando a fornirgli armi).

In questo contesto, altri conflitti sono proseguiti sotto i radar. L’esercito di Myanmar e le milizie alleate hanno condotto attacchi contro i civili che hanno causato, solo nel 2023, oltre mille morti. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si è mosso solo dopo quasi tre anni dal colpo di stato del febbraio 2021.

Alla fine dello scorso anno, ha adottato una risoluzione attesa da tempo che chiedeva la fine della violenza e la scarcerazione immediata di tutte le persone detenute arbitrariamente per essersi opposte al colpo di stato. La risoluzione non stabilisce un embargo globale sulle armi, né sanzioni mirate contro i leader militari responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, né, infine, parla del deferimento della situazione alla Corte penale internazionale.

In Sudan le due parti in conflitto dal 15 aprile 2023 – le Forze armate sudanesi e le Forze di supporto rapido – hanno dimostrato nulla attenzione per il diritto internazionale umanitario, portando avanti attacchi sia mirati che indiscriminati che hanno ucciso e ferito civili e lanciando munizioni esplosive contro aree civili ad alta densità abitativa. E ancora, ostacoli agli aiuti umanitari, continui blackout delle comunicazioni, stupri di donne e ragazze.

Quasi 15.000 civili uccisi, la più grave crisi di sfollati interni al mondo (oltre dieci milioni e 700.000), poco meno di due milioni di persone rifugiate negli stati confinanti (tra i quali Repubblica Centrafricana, Ciad, Egitto, Etiopia e Sud Sudan), 14 milioni di bambine e bambini (il 50 per cento della popolazione infantile) in disperato bisogno di assistenza umanitaria.

Di fronte a tutto questo orrore, la comunità internazionale che sta facendo da un anno? Poco, se non niente. Durante il suo vertice annuale di febbraio, il primo dallo scoppio del conflitto, l’Assemblea dei capi di stato e di governo dell’Unione africana non ha neanche messo in agenda, come punto a sé stante, la crisi in Sudan. C’è voluto quasi un anno perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite adottasse una risoluzione per chiedere l’immediata cessazione delle ostilità e l’ingresso privo di ostacoli degli aiuti umanitari. Ma persino dopo quella risoluzione i combattimenti sono proseguiti in tutto il Sudan e non è stata presa alcuna iniziativa per proteggere i civili.

Nell’ottobre 2023 il Consiglio Onu dei diritti umani ha istituito una Missione di accertamento dei fatti, col mandato di indagare e accertare fatti e cause di fondo delle violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto. Ma quella Missione non è ancora operativa.

Infine, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite ha dato l’allarme: la risposta umanitaria internazionale alla crisi in Sudan rimane tristemente inadeguata, nonostante le organizzazioni umanitarie denuncino una carestia in vista. Alla fine di febbraio, l’appello lanciato dalle Nazioni unite era stato finanziato solo per il cinque per cento, il che pregiudica gravemente l’invio di aiuti e servizi di emergenza assolutamente necessari.

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