Gli analisti dell’Istituto statunitense per gli studi sulla guerra (Isw) avevano fatto una previsione molto precisa fin dall’ottobre 2022: le forze russe avrebbero cercato di far saltare la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka nella regione di Kherson, e accuseranno l’Ucraina di terrorismo. Gli occupanti hanno sempre avuto timore che gli ucraini potessero sfondare sulla direttrice di Kherson e del Dnipro, e ora più che mai hanno considerato che la distruzione della diga avrebbe bloccato la controffensiva su quella temibile area del fronte strategica per l’accesso alla Crimea.

Seppure occorra cautela e non escludere altre ipotesi, le analisi più ragionevoli propendono per la tesi che si tratti di una distruzione deliberata, praticata con mine, imputabile ai russi. Le ricostruzioni di Mosca sono contraddette da elementi oggettivi: l’ampiezza del varco è di circa 200 metri per cui è da escludere il bombardamento con missili, e anche la demolizione con mine ad opera di un’azione ucraina di sabotaggio, al centro della diga, risulta improbabile in un’area sotto pieno controllo militare russo.

D’altro canto l’attacco alle dighe, nonostante gli evidenti rischi di catastrofi ambientali e umanitarie, non è una novità per l’irresponsabile stato maggiore russo. Si può dire che esso rientra in una deliberata strategia dell’aggressore per colpire le risorse idroelettriche e intimorire la popolazione. A settembre un attacco missilistico russo ha distrutto nel sud dell’Ucraina la diga nel bacino di Karachunivske, prossima alla città di Kryvyi Rih, causando inondazioni e l’evacuazione dei residenti.

Sono seguiti gli attacchi missilistici alle dighe di Zaprorizhzhia, Kremenchuk e sul fiume Dniester, nell’ ovest del paese, e il mese scorso un altro attacco missilistico ha distrutto il serbatoio di Karlivskyi, vicino a Donetsk, nell’est dell'Ucraina, provocando inondazioni nei villaggi lungo il fiume Vovcha, e costringendo i residenti all’esodo. Quanto siano gravi gli effetti della distruzione di Kakhovka lo si vedrà nei prossimi giorni.

La diga è il principale fornitore di acqua alla Crimea, che non ha risorse idriche proprie, per cui la sua compromissione potrebbe esporre le popolazioni della penisola occupata dai russi all’insufficienza di risorse idriche.

I russi avrebbero comunque fatto affidamento su una demolizione “controllata”, che non escluderebbe le manovre di pompaggio dirette ad alimentare la Crimea. Gli esperti dell’Onu hanno richiamato il rischio di contaminazione delle acque per effetto di sostanze pericolose sia degli esplosivi sia di altri residui fangosi e nocivi presenti sui fondali del bacino.

La sala delle turbine risulta sommersa da 150 tonnellate di lubrificanti industriali, e Olena Kravchenko, direttrice di una Ong esperta di diritto ambientale, denuncia l’ «ecocidio»: gli effetti di un inquinamento chimico e batteriologico potrebbero interessare tutta l’area a Sud, fino all’estuario del Dnipro, e tutto l’ecosistema del Mar Nero, con una mortalità di massa delle specie acquatiche, la devastazione dell’ambiente e impatti sui parchi naturali di tutta la fascia marittima e costiera, anche degli Stati confinanti.

I profili legali

Sotto il profilo del diritto internazionale il quadro giuridico è sul punto molto preciso, e non vi sono dubbi che l'attacco alla diga costituisca una palese e grave violazione alle norme sul diritto dei conflitti armati, sino a configurarsi tra i crimini di guerra espressamente sanzionati dall'articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale.

Si può prevedere l'obiezione che i comandanti russi potrebbero eccepire, anche di fronte a un processo internazionale: l'attacco alla diga risponde a una «necessità militare», ammessa dal diritto internazionale, vale a dire alla finalità di perseguire il vantaggio «complessivo, diretto e concreto», di bloccare la controffensiva ucraina.

Sul punto tuttavia tanto gli indirizzi delle Risoluzioni delle Nazioni Unite adottate per i vari conflitti di quest'epoca, quanto gli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale per la ex Jugoslavia e altre determinazioni delle Nazioni Unite hanno sempre rimarcato che il criterio della necessità militare va declinato con quello della proporzionalità. In particolare questa va considerata imperativa rispetto al principio fondamentale di non coinvolgimento e di tutela precauzionale della popolazione civile, per cui in diversi casi è anche previsto un obbligo giuridico di "preavviso" degli attacchi.

A dirimere dubbi interpretativi sovvengono in ogni caso più specifiche previsioni del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, adottato nel 1977. In primo luogo è l' articolo 52 a stabilire che «i beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie», e che deve valere, in caso di dubbi, un principio generale di presunzione – quindi superabile altrimenti solo in casi ben documentati – del non utilizzo a scopi militari di strutture civili.

Al para 1, si indicano fra queste espressamente le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica le quali pertanto «non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile».

La popolazione civile deve poter continuare a beneficiare di tutte le protezioni previste dal diritto internazionale, e «tutte le precauzioni praticamente possibili dovranno essere prese per evitare che le forze pericolose siano liberate», incluso «un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci» previsto dall'articolo 57.

Le condanne di Onu e Ue

Per ultimo è bene richiamare anche quanto, prima dell'ultima distruzione della diga di Kakhovka, è stato già intimato alla Russia in importanti determinazioni delle organizzazioni internazionali in materia di osservanza del diritto internazionale umanitario.

Fondamentale rimane la Risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite A/ES-11/L.2 in cui espressamente si chiede di garantire la tutela dei civili e, in particolare, il rispetto e la protezione per i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, per le infrastrutture civili, nonché per la fornitura dei servizi essenziali.

Un profilo particolare ha poi assunto la Risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2022. Qui la condanna dei deputati europei (adottata con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni) ha introdotto formalmente la prima accusa rivolta alla Russia di condurre la guerra all'Ucraina nella forma del «terrorismo di Stato».

Lo dimostrano le sue reiterate condotte di coinvolgere i civili nei massacri e nei bombardamenti indiscriminati, e negli attacchi che già all'epoca avevano riguardato "deliberatamente le infrastrutture critiche ucraine nell'intero paese allo scopo di terrorizzare la popolazione e impedirle l'accesso a gas, elettricità, acqua, internet e ad altri beni e servizi di prima necessità".

Le accuse del Parlamento di Strasburgo sono state rivolte anche al "terrorismo geopolitico" della Russia per aver causato la crisi mondiale della sicurezza alimentare con il blocco dei porti marittimi ucraini, la distruzione delle scorte, l'interruzione della produzione e le restrizioni alle esportazioni di generi alimentari e fertilizzanti.

Comunità internazionale

Su questi scenari, la distruzione della diga Kakhovka richiederebbe ora una maggiore consapevolezza della comunità internazionale, in particolare da quegli Stati che ancora non hanno deciso di essere netti nella condanna dell'aggressione di Putin all'Ucraina.

Molti guardano con speranza alle iniziative di pace del Vaticano, ma probabilmente è più realistico pensare che solo una decisa presa di posizione di potenze come Cina e India, e anche del cosidetto “Sud globale”, potrebbe avere la forza di ricondurre la Federazione Russa a riprendere in negoziati per il cessate-il-fuoco.

Qui il ruolo dell'occidente e preferibilmente quello rinnovato delle Nazioni Unite, stavolta, dovranno essere determinati a porre in essere, in ogni caso, quelle "garanzie di sicurezza" che facciano in modo che la tregua non si rilevi ancora fragile e ingannevole per il futuro dell'Ucraina. Anche per questo sarà necessario sostenere la Corte penale internazionale perché prosegua il suo percorso per affermare le regole della giustizia penale internazionale.  

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