Parlano di «empowerment» femminile, di emancipazione. Organizzano campagne pubblicitarie dedicate alla giornata internazionale delle donne. Per vendere i loro prodotti si vendono a loro volta come campioni di equità. Ma poi, alcune tra le più grandi aziende statunitensi iniettano soldi a sostegno degli stessi politici ultraconservatori che, in Texas, hanno votato la legge che fa fuori il diritto all’aborto, e con esso mezzo secolo di conquiste femministe. Altre corporation, Big Tech inclusa, tra i beneficiari delle loro donazioni a pioggia mettono anche quei think tank dai quali Donald Trump ha attinto per scegliere i nomi ultraconservatori che hanno fatto virare a destra la Corte suprema. E poi c’è una terza categoria: le imprese silenti; quelle che su tanti altri temi hanno alzato la voce, ma che sul diritto all’aborto, interpellate, preferiscono star zitte, non esporsi.

Legge controversa

La legge texana che rende per le donne di questo stato impraticabile abortire è talmente controversa che questo giovedì il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato un ricorso contro lo stato del Texas. Con quel provvedimento, il Texas intende minare i diritti costituzionali delle donne, e quella legge è «chiaramente anticostituzionale», ha detto senza mezzi termini il procuratore generale Merrick Garland.

Quello che la legge texana stabilisce, nel merito, è che non appena è possibile sentire il battito del feto, praticare l’aborto è vietato. Lo “heartbeat bill” comporta che, in pratica attorno alle sei settimane di gestazione, pure in casi di stupro o incesto, qualunque cittadino texano può intentare una causa contro chi a suo dire «aiuta, favoreggia» o esegue un aborto. Chi denuncia, se poi vince la causa, ottiene almeno 10mila dollari di compenso; un sistema che incentiva la delazione e rende anche nella pratica assai ostico l’esercizio del diritto di aborto.

Sponsor

Questa legge, che è in vigore dal primo settembre, qualcuno l’ha votata, nella camera bassa e in quella alta del Texas. E a dire sì sono stati 82 deputati repubblicani il 6 maggio, e poi 17 senatori dello stesso partito il 13 maggio. Tra i democratici, solo un deputato, Ryan Guillen, e un senatore, Eddie Lucio junior, hanno votato a favore. Ora, Judd Legum e Tesnim Zekeria di Popular information sono andati a cercare, tramite i dati della Texas Ethics Commission, quali sono gli sponsor dei politici repubblicani che hanno sostenuto la legge anti aborto. L’esito della ricerca potrà sorprendere: non solo ci sono colossi come At&T, ma l’elenco di finanziatori è fitto di aziende che a parole sostengono i diritti delle donne.

Aziende

Tra l’inizio del 2018 e fine luglio di quest’anno, At&T ha versato ai sostenitori della legge 301mila dollari, che corrispondono a circa un quarto di miliardo di euro. Questa stessa azienda di telecomunicazioni il 26 agosto, giorno in cui ricorre il Women’s equality day, ha versato fiumi di parole per «l’empowerment femminile, perché la forza delle donne determina anche il successo delle loro comunità». NbcUniversal, la multinazionale dei media, che a sua volta fa parte del conglomerato Comcast, ha versato oltre 58mila dollari (circa 50mila euro) ai supporter della legge, e al contempo ha lanciato, nel 2020, una campagna pubblicitaria della durata annuale, per «ispirare il pubblico che guarda i nostri canali a spingere per l’avanzamento delle donne in ogni àmbito della società». Per la prima volta in trent’anni, annunciò il colosso quella primavera, la nostra campagna avrà un’unica chiave e sarà al femminile. A parole, «women’s empowerment». Nei fatti, anche sostegno ai politici ultraconservatori. Charter communications l’ha fatta ancora più grossa: cinque volte più grossa, la donazione, che è stata di 313mila dollari, circa 265mila euro. Gli oltre 72mila dollari (60mila euro) versati invece da Cvs Health, corporation della sanità privata, dalla farmaceutica alle assicurazioni, arrivano mascherati da campagne social dove il colosso dichiara sostegno «alla salute e alle necessità delle donne di ogni età». Anche il gigante della salute a pagamento, Anthem, ha versato 87mila dollari ai politici anti aborto. Farmers Insurance pure di più: 120mila. La lista è corposa, quanto lo è il pink washing.

Dietro le quinte

Ciò che ha garantito alla legge texana di entrare in vigore non è solo averla votata: altri stati negli ultimi anni avevano già tentato la strada degli heartbeat bill. A fare la differenza è stata soprattutto una Corte suprema i cui equilibri, in eredità dell’era Trump, si sono spostati in direzione ultraconservatrice. Il primo settembre la Corte ha scelto, con cinque giudici a favore su nove, di non bloccare il provvedimento del Texas. Chi ha nominato una giudice antiabortista come Amy Coney Barrett? Certamente Donald Trump, ma il presidente si è fatto consigliare da un potente think tank ultraconservatore, la Federalist Society, e dai suoi vertici, come Leonard Leo. L’ultimo rapporto pubblico dove la Society pubblica le donazioni ricevute risale a due anni fa, e da lì si evince che nell’elenco dei “donatori 100mila+”, cioè tra coloro che hanno versato una cifra superiore ai 100mila dollari, figura Google. Nella fascia sopra i 50mila, invece, c’è Facebook. Non sono certo i soli: tra i donatori ci sono nomi grossi come Pfizer, Koch, Verizon, Campbell’s soup, Exxon. Ma Big Tech, e Google per esempio, a parole dichiara di essere «impegnata a fare dell’equità una parte di tutto quel che facciamo». L’eguaglianza però orienta più il vocabolario che il portafogli aziendale.

Incongruenze

Ci sono poi le corporation che, anche se non sostengono la legge, non osano neppure rinnegarla in pubblico. David Gelles del New York Times si è stupito che così tante aziende, che durante la giornata internazionale delle donne parlano di diritti riproduttivi, stessero poi in silenzio davanti alla legge texana. E quindi ne ha sollecitate dozzine, «ma molte hanno preferito un no comment». L’azienda tecnologica Dell e la compagnia American airlines, per esempio, sono tra i principali datori di lavoro in Texas, e quando i legislatori texani avevano provato a restringere i diritti di voto erano insorte. Ma sul diritto all’aborto hanno preferito non commentare. McDonald’s, che sponsorizza l’International Women’s Day, PricewaterhouseCoopers, che si dichiara per l’inclusione, Coca-Cola, e pure Levi’s: tutte trincerate dietro a laconici no comment. Secondo Gelles, che le ha sollecitate, tra le ragioni c’è «il fatto che 4 americani su 10 sono per restringere il diritto all’aborto e gli amministratori delegati temono di alienarsi quindi un’ampia fascia di consumatori». Anche il fatto che la Corte suprema non abbia fermato la legge può aver favorito la timidezza.

Ultraconservatori liberisti

Ma questo comunque non spiega perché così tante aziende abbiano finanziato i repubblicani antiabortisti. Il punto è che, ultraconservatori quando si tratta di diritti delle donne, quegli stessi repubblicani, in Texas più che mai, sono anche ultraliberisti. Il criterio «business first», il profitto prima di tutto, è tale che il vicegovernatore in piena pandemia disse che «I nonni sarebbero lieti di sacrificarsi per salvare l’economia per i nipoti». Greg Abbott, il governatore pro-life, è al contempo contro le restrizioni per Covid-19, gli obblighi vaccinali e di mascherine; è pure tra i migliori alleati della National Rifle Association, la lobby delle armi. A proposito di regimi fiscali, Abbott definisce il suo stato come «la terra dell’opportunità» e promette pure: «C’è ancora di più che possiamo fare perché possiate trattenere il più possibile nelle tasche il denaro che avete faticosamente guadagnato». Quel «c’è di più che possiamo fare» deve aver attratto le corporation che hanno sponsorizzato la sua stessa forza politica. La terra del libero mercato ha attratto non a caso anche Elon Musk e i suoi investimenti. «Non sarà certo la legge sull’aborto a trattenere le aziende dall’investire nel nostro stato», parole di Abbott. Che per ora i fatti non smentiscono.

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