«Ragazze, non date nulla per scontato». È dagli anni in cui Donald Trump era alla Casa Bianca, che Sarah Weddington avvertiva. «La libertà è una conquista»: lo sa bene lei, che nel 1973, a soli 26 anni, difese l’aborto legale e vinse. Fu la più giovane avvocata ad aver vinto un caso alla Corte suprema degli Stati Uniti, e quel caso, Roe v. Wade, ha fatto la storia. Ma oggi quel diritto faticosamente conquistato è di nuovo sotto attacco. L’assalto è partito dal Texas. Qui il governatore repubblicano Greg Abbott difende con la stessa tenacia l’uso libero delle armi e il divieto di sex toys, la libertà di non vaccinarsi e non usare mascherine e la più rigida legge sull’aborto mai vista in America nell’ultimo mezzo secolo. Cosa ha in comune Abbott con Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito di governo polacco Pis, ultracattolico e ultraconservatore? Questi uomini politici di destra sono fra i protagonisti di una controrivoluzione la cui bandiera è la famiglia tradizionale e il cui bersaglio sono i diritti delle donne.

Texas e non solo

Adottata a maggio e in vigore dal 1° settembre, la legge texana anti aborto riduce le settimane entro le quali è possibile abortire: prima, era possibile entro venti. Ora, non appena è possibile sentire il battito del feto – il che di solito accade attorno a sei settimane di gestazione, quando a volte non ci si è neppure rese conto di essere incinte – praticare l’aborto è vietato. Il divieto vale anche nei casi più estremi, cioè se la gravidanza è provocata da stupro o incesto. C’è di più: qualsiasi cittadino texano ha titolo di fare causa contro chi a suo dire esegue, o aiuta in qualche modo a praticare, un aborto. Con questa legge viene apparecchiato un sistema che non solo rende impraticabile l’esercizio del diritto di abortire, ma incentiva alla delazione: chi denuncia – se poi vince la causa – riceve almeno 10mila dollari di compenso. Dal battito cardiaco deriva il nome della legge, “Heartbeat bill”. Il Texas non è certo il primo stato che tenta di far entrare in vigore un heartbeat bill: sette anni fa ci provò, primo fra tutti, il North Dakota. Mosse simili si sono intensificate poi tra 2018 e 2019, in piena era Trump. Come tessere del domino, hanno coinvolto ben undici stati, tra i quali l’Alabama, la Georgia, l’Ohio, la Louisiana, il Kentucky… Sulla mappa, molti di loro si trovano nella cosiddetta Bible belt (la fascia della Bibbia): così il geografo della cultura Wilbur Zelinsky sessant’anni fa chiamava la regione a sud degli States caratterizzata da una forte presenza di evangelici, metodisti, battisti del sud. In tempi ben più recenti, le rilevazioni Gallup hanno confermato l’importanza assegnata dalla religione negli stati del sud; nel 2018, anno di zeli antiabortisti, il 45 per cento degli americani del sud ovest e il 43 a sud est degli Stati Uniti si considerava «molto religioso» oltre che praticante.

Perché ora

Le indagini del Pew Research Center dicono che, per quanto il tema dell’aborto continui a dividere gli Stati Uniti, una maggioranza di americani rimasta stabile negli ultimi cinque anni – circa il sessanta per cento di loro – continua a stare dalla parte dell'esercizio di questo diritto. Tra i democratici, o i simpatizzanti dem, la cifra è ampia: l’80 per cento crede che l’aborto debba restare legale in ogni caso. Sei repubblicani su dieci pensano invece il contrario: deve essere vietato abortire. Finora però nessuna legge era riuscito a smantellare il pilastro del diritto all’aborto negli Usa e cioè la sentenza Roe v. Wade. Se adesso il Texas ci riesce è perché il lavorìo di Donald Trump per spostare a destra gli equilibri nella Corte suprema Usa si esprime ora in modo tangibile. Nel 2017, quando Trump nominò alla Corte Neil Gorsuch confermando la maggioranza conservatrice, l’avvocata che difese il diritto all’aborto in Roe v. Wade, cioè Weddington, redarguì già che «Trump sta usando il suo potere di nomina per aggredire i diritti, e il diritto per le donne di abortire è in cima alla sua lista». Ma nel 2017 c’era ancora, tra quei giudici, una roccia progressista come Ruth Bader Ginsburg. Con la sua morte, l’autunno scorso, in fretta e furia prima delle elezioni, l’allora presidente repubblicano la rimpiazzò con Amy Coney Barrett, nota per le sue posizioni antiabortiste, ultracattoliche e ultraconservatrici. Oggi il risultato delle manovre trumpiane è una Corte in grado di avallare il provvedimento texano. O meglio, una Corte che il 1° settembre ha scelto di non bloccarlo: con cinque giudici a favore su nove, ha deciso di «non esprimerci sulla costituzionalità di questa legge» e ha fatto riferimento a «complesse questioni procedurali». Un varco aperto non solo per il Texas, ma per gli altri stati che proveranno a imitarlo. I repubblicani in sud e North Dakota, in Mississippi, Indiana, Arkansas e Florida hanno già annunciato di volerlo fare.

La corte polacca

Nel caso di Washington, però, l’amministrazione in carica non è più quella di Donald Trump: i democratici, e il presidente Joe Biden, hanno dichiarato la volontà politica di frenare queste manovre anti aborto. Merrick Garland, il procuratore generale Usa nominato da Biden, ha fatto sapere che «il dipartimento di Giustizia esplorerà tutte le opzioni possibili per sfidare la legge texana» e che «proteggeremo l’esercizio dei diritti, tra cui l’accesso all’aborto». Cosa succede però quando sfera giudiziaria e politica sono perfettamente in sintonia nell’intento di smantellare i diritti? Accade quello che si è visto in Polonia fin dall’ottobre scorso. Anche a Varsavia è da anni che il governo conservatore, a guida Pis ma sempre più condizionato dall’estrema destra, prova a togliere alle donne anche il minimo diritto all’aborto; diritto già quasi inesistente sin dai primi anni Novanta. Nel 2016 l’assalto, supportato dalle organizzazioni pro life e dalla chiesa polacca, fu frenato dalla “Czarny protest”, una marea di donne in protesta. Ma la spinta antiabortista è proseguita, tanto che nel 2019 l’arcivescovo Stanislaw Gadecki, capo della conferenza episcopale polacca, criticò sia il Pis sia la Corte suprema per aver «tradito la promessa elettorale di proteggere la vita». La Corte infine ha realizzato la “promessa”: ha stabilito che l’aborto è illegale pure in caso di malformazioni del feto. Lo ha fatto al posto del governo ma in piena sintonia con esso: la sfera giudiziaria in Polonia non è schiettamente indipendente dall’esecutivo, anzi le ingerenze della politica sui giudici sono motivo di scontro con l’Ue. Nonostante la imponente mobilitazione della società civile, non solo donne e soprattutto giovanissimi, la coincidenza tra sfere politica e giudiziaria ha ingessato la situazione. Risultato? Un boom di richieste di aiuto ad Abortion without borders, coalizione internazionale per aiutare le donne che hanno bisogno di abortire. Non c’è modo di ripristinare i diritti? Le femministe non si danno per vinte, assieme alla sinistra lavorano per presentare una iniziativa civica che liberalizzi l’aborto. «Ma servono 100mila firme, la raccolta è in corso», racconta Lana Dadu da Cracovia. Weronika Smigielska dice che «sì, questo progetto servirà a riaprire il dibattito, ma finché il Pis avrà una maggioranza in parlamento sarà difficile che passi». Bisogna contare sui dissidi nella coalizione di governo, perché si apra un varco per i diritti.

Internazionale anti diritti

Nel frattempo la «difesa della famiglia tradizionale» diventa l’ideologia fondante del progetto politico della destra europea, che lavora per coalizzare il Pis polacco e in generale i conservatori europei, presieduti da Giorgia Meloni, Identità e democrazia con dentro la Lega, e l’animatore di questa unione, Viktor Orbán. La rete internazionale collega non solo partiti politici ma anche organizzazioni pro life e ultracattoliche; la rappresentazione plastica di questo network è stata il World Congress of Families, che collegava pure finanziatori ed oligarchi russi e ultraconservatori Usa, e che si tenne a Verona due anni fa con il patrocinio dell’allora ministro della Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana. Oggi, da responsabile Esteri della Lega, stringe legami con la ministra della famiglia ungherese; lei, Katalin Novak, a fine agosto era a Roma a incontrare il Papa per la riunione dei legislatori cattolici. Il suo premier, Orbán, ha stretto sodalizi con ultraconservatori americani come il presentatore Tucker Carlson. Il quale, manco a dirlo, della legge texana è entusiasta: a suo dire «è la prova che la democrazia esiste ancora».

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