Il pomeriggio del 7 ottobre scorso, durante l’attacco di Hamas, Oleksandra Gin, una ventitreenne ucraina rifugiatasi in Israele dopo l’invasione russa del suo paese, si trovava in casa col suo fidanzato a Ra’anana, vicino Tel Aviv. 

Improvvisamente i due giovani, che avevano passato la giornata attaccati a internet a cercare informazioni sui raid missilistici e le infiltrazioni di miliziani nel Sud, hanno sentito dei vicini urlare da una finestra a cinque metri dal loro appartamento “Allahu Akbar”.

Sasha, il diminutivo con cui la chiamano amici e parenti, si è inginocchiata terrorizzata, coprendosi il capo con le braccia per ripararsi da un pericolo che sentiva incombente. Ha iniziato a piangere e a urlare disperata.  Il fidanzato, Leon Perelman, è corso a cercare il suo pugnale, assicurandosi di avere in tasca anche lo spray al peperoncino che porta sempre con sé e ha chiamato la polizia. Sasha gli ha urlato tra i singhiozzi di spegnere la luce.

Il ritorno nell’incubo

«È stato orribile. È tutto orribile. Mi ci è voluto un anno per riprendermi da quello che ho vissuto in Ucraina e ora mi ritrovo di nuovo in un paese in guerra. Mi sento impazzire» racconta Sasha, che ha incontrato Domani nella cittadina costiera di Herzliya.

Il dramma personale che questa ragazza sta vivendo rispecchia quello che migliaia di altri ebrei ucraini emigrati in Israele stanno vivendo. Il suono delle sirene, i boati delle esplosioni causate dal sistema antimissile Iron Dome, il doversi nascondere nei bunker stanno riportando alla mente di molti ucraini arrivati recentemente il terrore e la disperazione che hanno vissuto nel loro paese martoriato dall’invasione russa.

Terribili ricordi che stavano cercando faticosamente di lasciarsi alle spalle, costruendosi una vita normale, per quanto possibile, in Israele.

Nei rifugi

Solo l’anno scorso più di 15mila ucraini hanno trovato rifugio in Israele, secondo dati riportati dal quotidiano Haaretz della Jewish Agency, un ente che si occupa di assistere gli ebrei nel mondo che vogliono stabilirsi in Israele.

Sasha viveva a Kharkiv nel febbraio del 2022, quando la guerra tra Russia e Ucraina è iniziata. Mostra sul suo cellulare le foto di razzi russi conficcati sui marciapiedi della sua città e di esplosioni riprese dalla finestra dell’appartamento di sua madre a Kharkiv, al diciassettesimo piano. E anche foto di lei avvolta in varie coperte nei rifugi in Ucraina, dove per il freddo patito e la mancanza di medicine ha sofferto di febbri continue. 

Amici russi

Dopo più di un mese in Ucraina, Sasha è riuscita a scappare a Budapest. Lì è stata contattata dalla Jewish Agency, che le ha offerto di aiutarla a rifugiarsi in Israele.

Qui Sasha ha partecipato ad un programma di inserimento sponsorizzato da questo organismo, che le ha dato un alloggio per sei mesi e le ha permesso di studiare l’ebraico, come previsto dal programma di assistenza dell’ente per gli ebrei stranieri. 

Nei primi sei mesi ha conosciuto molti russi rifugiatisi anche loro in Israele dopo l’inizio della guerra all’Ucraina.

«Con alcuni siamo molto amici» dice sorridente, mostrando una foto che la ritrae insieme ad amici russi ad una manifestazione pro Ucraina a Ra’anana. «Alcuni dei russi che ho conosciuto qui hanno lasciato a Mosca dei lavori ben pagati e una vita tranquilla dopo l’inizio della guerra. Non accettavano di vivere sotto Putin dopo quello che ha fatto a noi ucraini. Li ammiro veramente per questo».

«Solo che stiano bene»

Sia Sasha sia il suo ragazzo sono russofoni, anche se Leon dice di aver iniziato a parlare ucraino dopo che Putin ha invaso la Crimea, nel 2014.

Da quando Israele è entrato in guerra con Hamas, molti amici ucraini di Sasha qui hanno iniziato a raccogliere aiuti per i soldati israeliani al fronte, mentre continuano ad aiutare come possono anche l’esercito in patria e i loro connazionali rimasti nel paese invaso da Vladimir Putin.

«Io voglio solo vivere tranquilla. Voglio solo che mia madre, i miei amici, Leon stiano bene» dice Sasha, raccontando che la madre Anna è rimasta a Kharkiv.

«Gliel’ho chiesto mille volte di venire qui a stare con me, ma non vuole» dice Sasha. Nei primi mesi della guerra in Ucraina la madre era rimasta ad accudire i nonni di Sasha. Ma poi sono entrambi morti di infarto a distanza di poco più di un mese. 

A ogni sirena

Quest’ultima settimana Sasha ha iniziato a lavorare da casa, come la maggior parte degli israeliani che può farlo. Il suo ufficio è a Tel Aviv, a circa 20 chilometri da dove vive, ma spiega che ha paura di mettere piede in città perché lì le sirene suonano molto più spesso che a Ra’anana. 

Nella serata trascorsa a raccontare la sua esperienza a Domani, non si sono sentite le sirene suonare una volta a Tel Aviv, ma pochi boati dell’Iron Dome hanno spaventato Sasha.

«Ogni volta che ho sentito una sirena sono svenuta» racconta Sasha. «Da sabato non riesco più a rimanere sola».

Spesso si sveglia di soprassalto alle prime ore dell’alba, come le succedeva in Ucraina, dopo nottate di incubi. Leon, che Sasha ha conosciuto mesi fa ad una manifestazione pro-Ucraina a Ra’anana, le sta vicino come può. 

Leon

Originario di Kremenčuk, il ventisettenne ucraino si è trasferito qui sette anni fa perché non voleva più vivere in Russia dopo l’annessione della Crimea. Israele gli ha dato la possibilità di frequentare l’università gratuitamente e ha studiato ingegneria informatica. Ha fatto due anni di leva qui e ha iniziato a lavorare in un’impresa privata israeliana di cybersecurity. 

Entrambi ora dicono di avere più paura di morire per un attentato per strada, sferrato da un militante isolato armato di un coltello o altro.

«Il primo regalo che ho fatta a Sasha è stato uno spray al peperoncino», dice Leon. «Non molto romantico, lo ammetto, ma utile di sicuro». Leon sta cercando di procurarsi un porto d’armi per comprarsi una pistola e potersi proteggere da solo se si trovasse in mezzo a un attacco di strada.

Che duri poco

Sasha spiega che sia lui sia altri ucraini che ha conosciuto qui non sono stati sotto le bombe e non sempre capiscono cosa si provi ora che anche qui si sentono le sirene e i rumori delle esplosioni. 

Tuttavia, a molti ucraini, compresi Sasha e Leon, le immagini e i racconti di intere famiglie trucidate brutalmente e gli scempi commessi sui cadaveri nei kibbutz al sud di Israele hanno riportato alla mente la tragedia di Bucha in Ucraina, dove più di 400 civili sono stati ammazzati dalle truppe russe e molti sono stati buttati in fosse comuni.

«Anche se qui in Israele sono più attrezzati per un attacco, con i loro bunker e le stanze blindate nelle case, quelle cose sono successe lo stesso. Non riesco a smettere di pensarci», confessa la ragazza.

Sasha ha deciso di rimanere in Israele, per ora. Non vuole affrontare un altro spostamento in un paese straniero, ma l’angoscia di sentirsi di nuovo in pericolo, di nuovo in un paese sotto attacco, la sta facendo soffrire molto.

«Lo so che ora la vera guerra è in posti a sud come Ashkelon, ma quando vedo queste cose, ho continui flashback. Semplicemente non ce la faccio a stare tranquilla. La mia più grande speranza è che qui duri poco, non come purtroppo è successo in Ucraina».

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