Sudafrica, Russia e Cina, partner strategici dello Zimbabwe, si sono affrettate a congratularsi con Emmerson Mnangagwa per la vittoria nella tornata elettorale tenutasi lo scorso 23 agosto, a sei anni dal colpo di Stato che detronizzò Robert Mugabe, il padre padrone del paese.

Il resto della comunità internazionale, però, resta molto freddo se non pesantemente critico date le diffuse irregolarità denunciate e le furiose polemiche scoppiate già durante lo spoglio.

Quella del 23 agosto scorso è stata la nona elezione della storia del paese, ma solo la seconda da quando lo Zimbabwe si è affrancato del suo autocrate, ed entrambe se le è aggiudicate l’80enne Mnangagwa.

Secondo la Commissione elettorale, ha conquistato il secondo mandato con il 52,6 percento dei voti contro il 44 ottenuto da Nelson Chamisa, il 45enne pastore di confessione apostolica, leader del Citizens Coalition for Change (Ccc).

Il partito del presidente, lo Zanu-PF, lo stesso di Mugabe - al potere in Zimbabwe, quindi, da 43 anni - è stato dichiarato vincitore anche nella corsa al parlamento, ottenendo 136 seggi su 210, mentre il Ccc solo 73. Ma le irregolarità sono talmente chiare e numerose da far gridare allo scandalo.

Le limitazioni

Nel periodo pre-elettorale, le opposizioni hanno subito gravissime limitazioni nelle loro campagne: almeno un centinaio di comizi annullati, manifesti e affissioni negati e una tv di stato a fare sostanzialmente da megafono per il partito del presidente.

Quaranta membri del Ccc, tra cui un candidato al parlamento, sono stati arrestati mentre facevano campagna elettorale nella capitale Harare. In alcune città è stato reso quasi impossibile votare per problemi definiti logistici che hanno tutta l’aria di essere politici. Durante lo spoglio, oltre 40 osservatori sono stati arrestati mentre cercavano di compilare il proprio conteggio dei voti per confrontarlo con quello ufficiale.

Il Ccc di Nelson Chamisa vuole l’annullamento delle elezioni. Rivolgendosi all’Unione Africana e al Southern African Development Community (Sadc), l’organismo che raggruppa gli stati dell'Africa meridionale, per bocca di Ostallos Siziba, un portavoce, ha chiesto di andare di nuovo al voto. Ma in pochi credono che ciò avverrà mai.

Se tutto sarà quindi confermato, lo Zimbabwe continuerà a essere quel paese noto al mondo per l’iperinflazione, la povertà di una grandissima fetta della popolazione a dispetto di un’infinità di ricchezze e risorse e, soprattutto, il mancato rispetto dei diritti. Quell’afflato di speranza che aleggiava sopra a questo paese all’indomani della cacciata dell’autocrate Mugabe, quella sensazione di un cambio imminente nel percorso democratico e di sviluppo, è ormai frustrata dai fatti.

Come molti zimbabwani affermano, il rispetto dei diritti è addirittura deteriorato negli ultimi anni e la povertà aumentata. A guardare bene nella biografia di Mnangagwa in effetti, non c’è molto da stupirsi per la piega che il paese ha preso.

Il "Coccodrillo", come viene chiamato per la sua crudeltà nota fin dai tempi in cui agiva come ministro della Sicurezza nazionale per Mugabe ed era a capo dell'Organizzazione centrale di intelligence (a stretto contatto con l'esercito), scalò le classifiche di gradimento del dittatore per la sua efferatezza durante la guerra civile scoppiata negli anni '80 tra il partito Zanu di Mugabe e il partito Zapu di Joshua Nkomo.

Tra i 10.000 e i 30.000 civili - soprattutto di etnia Ndebeles, considerati sostenitori dello Zapu - furono uccisi in una campagna nota come Gukurahundi, ancora oggi evocatrice di terrore.

E così, il paese dell’Africa australe, tra i più ricchi di risorse del continente e dai paesaggi mozzafiato, continua a passare da un padrone all’altro, oppresso e sfruttato. Fino al 1980 era il giardino coloniale di Cecil Rhodes, l’imprenditore inglese noto per l’acceso razzismo a cui doveva il nome di Rhodesia. Poi vennero i lunghissimi tempi di Mugabe ed ora, pur dopo la defenestrazione del despota che tutti credevano la fine di un’era, continua a combattere con i fantasmi del passato.

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