Due settimane fa, in una lettera indirizzata a tutte le unità in occasione del cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra del Kippur, il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Herzi Halevi scriveva: «Il mancato allarme alla vigilia della guerra è il peggior fallimento della nostra storia. Le sue radici affondano nell’arroganza, nella mancata comprensione delle informazioni di intelligence e nella noncuranza del nemico. Le lezioni che ne abbiamo tratto ci ricordano che dobbiamo essere modesti e sempre pronti». Allora, tanti hanno letto nelle parole di Halevi un velato avvertimento indirizzato al governo di Benjamin Netanyahu, come a dire: se una minaccia simile si presentasse oggi, non saremmo pronti. All’indomani dell’attacco senza precedenti di Hamas in territorio israeliano, quelle parole suonano come una profezia.

L’attacco, la cui portata e organizzazione suggeriscono fosse in preparazione da tempo, non solo ha mostrato un evidente fallimento delle capacità di previsione dell’intelligence israeliana, ma ha anche colto l’esercito in un periodo di eccezionale fragilità. Da quando il governo Netanyahu ha presentato la sua contestatissima riforma della giustizia, che punta a limitare i poteri della Corte suprema e garantire alla maggioranza politica il controllo sulla nomina dei giudici, migliaia di soldati professionisti, riservisti e volontari hanno sospeso il servizio o minacciato di farlo.

A fine luglio, l’associazione di veterani pro-democrazia “Fratelli e sorelle in armi” aveva stimato a più di 10mila il numero di riservisti pronti a scioperare se la riforma dovesse proseguire l’iter alla Knesset. Lo stesso avrebbero fatto, secondo i media israeliani, 500 volontari dell’intelligence militare e più di mille uomini dell’aviazione.

Gli adolescenti

A questi si aggiungono gli oltre 250 adolescenti del movimento “Giovani contro la dittatura”, che a inizio settembre hanno dichiarato di voler disertare il servizio militare obbligatorio – della durata di 30 mesi per i ragazzi e 24 per le ragazze, esclusi gli ebrei ultraordotossi che godono di una contestatissima esenzione. «Non ci arruoleremo finché la democrazia non sarà garantita a tutti, sia in Israele che nei territori palestinesi occupati – si legge nella dichiarazione –. Non siamo disposti a servire un governo che distrugge il sistema giudiziario». I vertici delle forze armate avevano più volte suonato la campanella d’allarme.

A fine luglio, lo stesso Halevi aveva indirizzato una rara lettera a tutte le unità: «Gli appelli a non presentarsi stanno danneggiando le forze armate. Senza un esercito forte e coeso, non esisteremo più come Paese. Per questo, chiedo a tutti i riservisti di tenere separati le manifestazioni civili e l’impegno militare e rientrare in servizio».

Un appello simile era arrivato poco prima dal comandante dell’aviazione Tomer Bar. Sottinteso in entrambi, un messaggio al governo: l’ostinazione sulla riforma della giustizia sta esponendo il Paese a seri rischi per la sicurezza. In entrambi i casi, però, Netanyahu aveva ignorato l’avvertimento, e anzi aveva accusato gli ufficiali di minare la credibilità delle forze armate.

Le defezioni

Così, le defezioni e la scollatura tra la leadership politica e i vertici militari hanno offerto a Hamas una finestra imperdibile. In realtà, segnali preoccupanti dalla Striscia erano visibili già da tempo, come sottolinea Arie Kacowicz, professore di relazioni internazionali all’Università ebraica di Gerusalemme: «Nelle ultime settimane abbiamo visto intensificarsi le provocazioni al confine. Era evidente che Hamas stesse testando la capacità di risposta dell’esercito israeliano, scommettendo sul fatto che, frenato dalle proteste, il governo non avrebbe risposto con azioni su larga scala».

Anche questi segnali, però, sono stati ignorati. Sotto accusa è anche la politica estremamente offensiva del governo nei confronti dei territori palestinesi occupati: «Oggi più che mai è importante ricordare che ciò non doveva accadere – ha scritto su X Mesarvot, la principale associazione di obiettori di coscienza in Israele –.

È impossibile negare il legame tra questa guerra e un governo che negli ultimi mesi ha fatto di tutto per mettere a ferro e fuoco la Cisgiordania e rafforzare il più possibile l’occupazione». Un accanimento che non solo avrebbe provocato la reazione di Hamas, ma avrebbe anche compromesso la prontezza di reazione dell’esercito di fronte all’attacco: «Praticamente tutto l’esercito è stato concentrato in Cisgiordania, non c’è quasi nessuno nel sud (vicino alla striscia di Gaza, ndr) – ha denunciato su X Gonen Ben Yitzchak, ex membro dei servizi segreti ora volto delle proteste anti-Netanyahu –. Tutto questo per decisione di un governo di estrema destra».

Ora, di fronte ai razzi, ai civili uccisi e presi in ostaggio, l’esercito chiamato a raccolta d’urgenza sembra aver ritrovato la compattezza, e sia Mesarvot che Fratelli e sorelle in armi hanno invitato i loro aderenti a sospendere le proteste e tornare in servizio. Ma il tempo dei bilanci e delle responsabilità arriverà, e difficilmente Netanyahu ne uscirà assolto.

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