Il Bosforo, lo stretto turco che unisce il mar Nero al mar di Marmara, è attraversato giornalmente da centinaia di imbarcazioni che trasportano passeggeri, merci, petrolio ma anche grano e cereali prodotti in Ucraina. Quest’ultimo carico è diventato ancora più prezioso dall’inizio dell’invasione russa, ma il suo export è strettamente legato a equilibri diplomatici delicati e sempre più precari.

L’Ucraina ha ripreso a esportare grano e cereali via mare solo da luglio, dopo la firma di uno specifico accordo sotto l’egida dell’Onu ottenuto anche grazie alla mediazione della Turchia, porta di accesso dei prodotti ucraini al mercato mondiale.

L’iniziativa però rischia di non essere rinnovata dopo il 18 maggio e sul suo corretto funzionamento continuano ad esserci dei dubbi. Intanto l’Ucraina deve fare i conti anche con la stretta imposta dai paesi dell’est Europa all’importazione dei suoi cereali, rivelatasi un problema per i produttori locali.

L’accordo

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L’invasione russa iniziata a febbraio 2022 ha causato uno stop forzato all’esportazione di cereali e olio di girasole prodotti in Ucraina, con conseguenze negative non solo per il continente africano e alcuni paesi del medio oriente, ma anche per le economie più avanzate come quella italiana.

L’accordo sul grano, siglato a luglio, ha garantito l’arrivo sul mercato internazionale di 27 megatonnellate di grano e di 1,4 megatonnellate di semi di girasole, ma la disponibilità e i costi di questi prodotti non sono ancora tornati a livelli pre guerra. Un obiettivo difficilmente raggiungibile nel momento in cui i cereali possono partire solo dai porti di Odessa, Čornomors’k e Južne, mentre continua a restare fuori dall’intesa quello di Mikolaiv, che prima della guerra rappresentava uno degli snodi commerciali più importanti del paese.

Ogni accordo, ovviamente, ha i suoi limiti, soprattutto in situazioni di conflitto come quella attuale, ma quello sul grano ucraino ha finito con il favorire non tanto i paesi in via di sviluppo, come avrebbe dovuto essere, quanto quelli già economicamente avanzati.

Come si vede dai dati pubblicati dall’Onu, il 56,2 per cento dei prodotti ucraini è in effetti diretto verso paesi in via di sviluppo, eppure i principali beneficiari risultano essere la Cina, la Spagna, la Turchia e l’Italia. Libano e Somalia, che importavano rispettivamente il 61 e il 53 per cento del loro grano dall’Ucraina, hanno ricevuto invece meno dell’1 per cento dei cereali esportati grazie all’accordo.

Il rinnovo

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Ma, a quasi un anno dalla sua firma, l’intesa rischia adesso di saltare. La Russia ha avanzato nuove richieste in cambio del rinnovo dell’accordo, prolungato a metà marzo per soli 60 giorni anziché 120 e destinato al momento a scadere il 18 maggio.

Nello specifico, Mosca ha chiesto il reinserimento della Banca per l’agricoltura nel sistema di pagamenti internazionale Swift, la ripresa dell’importazione di macchinari agricoli, la fine delle sanzioni sulle assicurazioni, l’accesso delle navi cargo nei suoi porti e lo sblocco delle attività finanziarie delle compagnie che commerciano fertilizzante. Inoltre, la Russia vuole il ripristino del gasdotto Togliatti-Odessa per il trasporto di ammoniaca, indispensabile per la produzione di fertilizzanti, che passa per il porto ucraino del mar Nero.

L’Onu però può fare ben poco per accontentare le richieste russe. Le sanzioni che Mosca vuole siano eliminate sono state imposte dagli Stati Uniti e dai paesi europei, ma il proseguire del conflitto e la mancanza di progressi sul piano diplomatico non lasciano presagire un rilassamento della posizione occidentale nei confronti di Mosca.

Dal canto suo, la Russia sta usando tutti gli strumenti a sua disposizione per fare pressioni su Washington e Bruxelles, a partire dall’ispezione delle navi che trasportano il grano ucraino. Secondo l’accordo, le imbarcazioni devono essere controllate da ufficiali russi, turchi, ucraini e dell’Onu per accertare che non siano usate per trasferire armi, ma nelle ultime settimane la Russia ha chiesto di fare controlli casuali e non più rispettando una lista previamente concordata.

Questo cambio di metodo ha causato diversi ritardi e nell’ultima settimana i controlli sono stati momentaneamente sospesi, mentre le navi restavano bloccate all’imboccatura dello stretto.

Politica e contrabbando

Mosca però non ha interesse a far davvero naufragare l’accordo. Almeno non per il momento. Prima di prendere una decisione netta la Russia aspetterà l’esito delle elezioni presidenziali in Turchia, previste per il 14 maggio, per capire se il suo alleato Recep Tayyip Erdogan sarà confermato o meno. Quest’ultimo si è speso in prima persona per il raggiungimento dell’intesa, per cui la Russia non può permettersi di chiudere i corridoi del grano in piena campagna elettorale.

Erdogan d’altronde continua a chiudere un occhio sul contrabbando di grano per gli stretti della Turchia. «La Russia trasporta ancora via mare i cereali sottratti all’Ucraina verso la Siria. Una volta lì, una parte viene rivenduta ad altri paesi, in primis al Libano, ma forse anche all’Iraq e persino all’Egitto», spiega Yörük Isik, ricercatore del Middle East Institute e attento osservatore dei traffici nel Bosforo.

Secondo le sue stime, circa l’80 per cento del grano contrabbandato è diretto verso la Siria, ma un 10-15 pe rcento si ferma nei porti più piccoli della Turchia. A gestire queste operazioni è un numero ristretto di navi che attraversano in media ogni quattro giorni gli stretti turchi a ritmo serrato secondo uno schema che risulta – purtroppo – particolarmente efficiente. Nel 2022 la Russia è riuscita a raccogliere, spostare e rivendere illegalmente milioni di tonnellate di grano ucraino, i cui guadagni sono stati utili anche per il proseguimento del conflitto.

Il transito di queste navi però è un problema anche per la sicurezza. In alcuni momenti i cargo russi spengono i loro radar, mettendo in pericolo anche le altre navi e rendendo così ancora più difficile le operazioni di tracciamento del traffico illegale di grano e il loro smantellamento. «L’Onu sta cercando di prendere provvedimenti, ma per il momento sta ancora raccogliendo documentazione e mappando le operazioni di contrabbando», specifica Isik.

Lo stop dell’est Europa

Intanto però l’Ucraina deve fare i conti anche con lo stop imposto da Polonia, Ungheria e Slovacchia alle importazioni del proprio grano. Ufficialmente, la decisione è stata presa per tutelare gli interessi dei produttori locali, che non riescono a competere con i prezzi e con la sovrabbondanza di quei prodotti ucraini che dall’inizio del conflitto hanno inondato i mercati dell’Europa dell’est. Sulla scelta di Polonia e Slovacchia, però, pesano anche le imminenti elezioni e i timori dei partiti di governo di perdere consensi tra il proprio  elettorato.

Per risolvere il problema, Varsavia ha proposto all’Ucraina la firma di un’intesa specifica che regoli l’import di prodotti agricoli, ma il governo polacco sta facendo pressioni anche sull’Unione europea. Come riferito dal ministro dell’agricoltura polacco, Robert Telus, è prima di tutto necessario modificare la legislazione europea che regola il commercio con paesi terzi e concordare una migliore distribuzione delle merci ucraine per evitare che a pagarne le conseguenze siano solo gli stati dell’est Europa.

In realtà i cereali ucraini, una volta varcata la frontiera europea, dovevano essere inviati in Africa e in medio oriente, ma la maggior parte dei prodotti importati sono rimasti fermi in Europa a causa della carenza di camion e treni merci, causando un calo drastico dei prezzi e danneggiando così i produttori locali.

Tra il blocco delle importazioni dall’est Europa e la crescente precarietà dell’accordo del mar Nero, il grano ucraino resta di rimanere ancora una volta bloccato nel paese, mentre la nuova stagione del raccolto è ormai alle porte.

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