Chi è Kemal Kilicdaroglu, leader della principale forza di opposizione (il Partito popolare repubblicano Chp) che si scontrerà con Recep Tayyip Erdogan alle elezioni presidenziali del 14 maggio prossimo, a nome di tutta l’opposizione turca?

Curdo alevita, viene dalla provincia orientale di Tunceli, i cui antenati furono tra le vittime del massacro di Dersin nel 1938 compiuto dall’esercito turco contro la ribellione delle tribù locali che non accettavano il processo di turchizzazione imposta da Mustafa Kemal Ataturk.

Lo stesso Erdogan si è scusato pubblicamente dieci anni fa per la strage, definendola una delle pagine buie della storia turca. La fede e l’origine etno-religiosa del candidato sono molto discusse fin da quando è diventato capo del Chp.

È rimasta famosa la risposta che una volta diede ad un giornalista che insisteva a interrogarlo su tale tema: «Sono alevita, e allora?». Alcuni osservatori sostengono che tale origine può frenare l’ascesa di Kilicdaroglu; altri invece che sia un vantaggio. Sta di fatto che l’essere alevita di Kilicdaroglu dimostra che la Turchia non è monoetnica né tanto meno monoreligiosa come si vorrebbe lasciar intendere.

La posta in gioco non è mai stata così alta mentre il paese si prepara a celebrare i suoi primi cento anni come repubblica il 29 ottobre di quest’anno. Le prossime elezioni determineranno se la Turchia continuerà sotto la gestione Erdogan o invertirà la rotta. Malgrado il sistema elettorale favorisca l’uscente, i sondaggi prevedono una gara sarà serrata.

La decisione del Hdp, il partito filo-curdo, di non presentare un proprio candidato presidenziale e soprattutto la sua scelta di fare una lista comune con i verdi per prevenire il suo eventuale scioglimento da parte della magistratura, potrebbero dare all’opposizione un vantaggio decisivo.

Tuttavia, nessuno riesce a prevedere l’afflusso alle urne, soprattutto nelle zone orientali e curde del paese. Conta molto la situazione economica. Dal 2002 Erdogan è riuscito nel miracolo di quadruplicare il Pil turco, ma oggi l'inflazione è a due cifre e la moneta svalutata. Inoltre il terribile terremoto di febbraio ha inferto un ulteriore duro colpo: la Banca mondiale calcola che ci vorranno almeno 100 miliardi di dollari per riparare i danni.

Ambiguità strategica

Dal punto di vista strategico la posizione della Turchia è ambigua: le relazioni con gli alleati Nato sono ai minimi storici; il rapporto positivo con Mosca è appena tollerato da Washington; le nuove relazioni con Iran, Arabia Saudita e Israele mettono il paese in una situazione di equilibrio instabile.

Molte iniziative di politica internazionale sono criticate da vicini e alleati, come l’insediamento militare in Libia e in Qatar o l’ingerenza nella contesa tra Azerbaigian e Armenia. Secondo molti osservatori lo stato di diritto si sta decomponendo e la corruzione è dilagante. Sono anche riapparsi i vecchi peccati dello stato turco come la tortura e la morte in custodia della polizia. Kilicdaroglu ha già detto che si impegnerà a correggere tali involuzioni.

Il leader Chp viene spesso descritto come l’opposto del carattere di Erdogan: uomo cauto fino alla reticenza, un gradualista convinto che si è fatto strada in uno scenario politico che tradizionalmente premia le leadership forti. È nato nel 1948 a Ballica, un remoto villaggio di montagna nel distretto Nazimiye di Tunceli. È un luogo che ha vissuto tre momenti drammatici nel Novacento: la distruzione di una vivace comunità armena nel 1915; i massacri degli aleviti nel 1938 e la repressione militare contro i curdi del Pkk negli anni Novanta. Il padre Kamran aveva soltanto un’istruzione elementare e proveniva dalla tribù Kureysan, una delle più note che afferma di discendere dal profeta Maometto.

La famiglia era povera e la vita dura. Da piccolo Kilicdaroglu lavorava nei campi di angurie e vendeva uova bollite alla stazione ferroviaria locale. A scuola si è distinto per ottimi voti e per la sua onestà. Lettore vorace, Kilicdaroglu ha iniziato dalle opere di celebri autori dissidenti come Nazim Hikmet o popolari come Kerime Nadir.

Anche oggi il suo modesto appartamento di Ankara (che condivide con sua moglie e una cugina materna) nel quartiere Cukurambar della capitale, è pieno di libri. Il suo modo di parlare è calmo e rassicurante, molto diverso da quello dei suoi concorrenti. Kilicdaroglu ha conseguito una laurea in materie finanziarie presso l’Accademia delle scienze economiche e commerciali di Ankara ed è entrato a far parte della burocrazia statale come ispettore fiscale nel 1971, scalando la gerarchia fino a diventare direttore generale dell’Istituto delle assicurazioni sociali (Ssk), l’equivalente turco dell’Inps.

Giunge tardi alla politica: nel 1999 attira l’attenzione del Chp grazie ad un rapporto, scritto appena andato in pensione, su come combattere la corruzione nell’amministrazione pubblica. Viene candidato alle elezioni del 2002 ed è eletto lo stesso anno in cui il partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) di Erdogan sale al potere. Nel 2010 diviene leader del Chp dopo che il predecessore, Deniz Baykal, si deve dimettere per uno scandalo sessuale.

Leader della stabilità

Durante questi 12 anni Kilicdaroglu non è riuscito ad aumentare significativamente i consensi del Chp (alle ultime legislative del 2018 ha preso il 22,6 per cento contro il 42,5 per cento dell’Akp di Erdogan). I suoi critici gli contestano una mancanza di carisma e di acutezza politica. Inoltre si dice che la sua fede alevita e le sue radici curde potrebbero spaventare molti moderati e conservatori sunniti o nazionalisti turchi, che costituiscono oltre la metà dell'elettorato del paese.

Alcuni gli avrebbero preferito il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, anche lui del Chp, che in città ha battuto Erdogan due volte. I partner nazionalisti di destra del partito Iyi hanno apertamente esercitato pressioni contro la sua candidatura ma senza successo.

Altri lo accusano di aver escluso i curdi del Hdp, la terza forza del paese, dalla Tavola dei Sei, la coalizione di opposizione, mentre ha accettato i conservatori nazionalisti e gli islamisti anti Akp.

In verità il tranquillo Kilicdaroglu è una figura molto più complessa di quanto sembri. La sua cautela gli ha permesso di arrivare alla leadership grazie a continue mediazioni: è proprio ciò che serve ad una coalizione rissosa e polemica, difficile da tenere assieme.

Quando ne divenne segretario, anche il Chp era dilaniato dalle correnti e Kilicdaroglu ha dimostrato una pazienza strategica nel ricucire l’unità. Dell’immagine del leader fa parte anche quella di sua moglie Silva, una casalinga normale, madre di tre figli, che si vanta di aver appreso il turco solo alle elementari.

Contrariamente agli sforzi di Erdogan di dipingere Kilicdaroglu come un membro del “club kemalista” (gli alti commis d’état turchi e gli alti ufficiali) il leader del Chp è esattamente l’opposto: ha un background rurale e di piccola borghesia, senza grandi scuole né università prestigiose, né parenti con alti gradi militari.

Alcuni osservatori apprezzano le qualità di Kilicdaroglu al punto di attribuirgli il merito delle vittorie Chp alle municipali di Istanbul e Ankara, perché senza la sua abilità a creare alleanze l’Akp avrebbe rivinto. Per molti la sua forza sta nella costruzione del consenso attorno al Chp.

Tale capacità ha permesso a candidati arabi alawiti di diventare sindaci a Adana e Mersin. È stata questa stessa perizia a permettere la costituzione della Tavola dei Sei. Kilicdaroglu è riuscito a modificare gradualmente il tradizionale kemalismo del Chp, pur mantenendo intatto il nucleo atatürkista del partito: la sua idea è che la Turchia sia un paese composito e non omologabile, né ideologicamente né religiosamente.

Sulle modifiche legislative in senso antidemocratico nella giustizia e nei media, Kilicdaroglu è stato inamovibile, criticando l’involuzione di Erdogan. A differenza di quest’ultimo, il leader del Chp è uno che parla poco, ascolta molto e accetta consigli.

Come i turchi di una volta, Kilicdaroglu non parla inglese ma francese (Erdogan invece parla solo turco). La sua grande speranza sono gli elettori curdi ma anche i circa 6 milioni di nuovi votanti che per la prima volta si recheranno alle urne. La Turchia dovrà scegliere tra un leader forte e uno che proietta umiltà, simile ad un nonno che una volta era un povero ragazzo alevita di Dersim.

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