«La situazione nel bacino idrico di Wadi Derna richiede che i funzionari effettuino immediatamente la manutenzione periodica delle dighe esistenti perché, in caso di una intensa alluvione, il risultato sarebbe catastrofico sugli abitanti della valle e della città». Questa raccomandazione è scritta in uno studio effettuato da un team di ricercatori della facoltà di Ingegneria di Omar Al-Mukhtar, uno dei più importanti atenei libici. Già nel novembre 2022 il team di ricercatori avvisava le autorità locali sul possibile cedimento della struttura in caso di alluvioni.

Ipotesi non poco remota vista l’alta frequenza di forti piogge che di recente hanno interessato l’area. Allarmi rimasti inascoltati fino a quando domenica l’uragano Daniel si è abbattuto sulla costa libica nell’estremo oriente facendo straripare e collassare le due dighe del bacino di Wadi Derna.

I corpi recuperati dalla montagna di detriti sono oltre seimila, un numero destinato a salire visti gli oltre diecimila dispersi. «Durante la visita sul campo a Wadi Derna – scrivono i ricercatori – abbiamo trovato alcune abitazioni lungo la valle. I cittadini devono essere consapevoli del pericolo inondazioni e devono essere adottate tutte le misure di sicurezza necessarie».

Un monito che si è rivelato profetico ma che non è stato neanche l’unico lanciato negli ultimi anni. Altri ricercatori erano a conoscenza delle precarie condizioni delle dighe, costruite da una società jugoslava negli anni Sessanta, diventate ormai inadatte a gestire le sfide del cambiamento climatico. Tra questi c’è Bashir Brika, ingegnere chimico e ricercatore presso il Libyan advanced center of chemical analysis.

Racconta a Domani che le dighe risultavano danneggiate già a metà anni Ottanta, dopo una serie di forti piogge. Ma da allora la manutenzione è stata quasi nulla. «A giugno sono stato con alcuni colleghi nella zona di Wadi Derna. Anche se non ero in visita ufficiale, comunque siamo stati ospiti dell’università di Derna per un incontro sul tema del sistema idrico nella regione. Poi insieme siamo andati a visitare la diga Abou Mansour, una delle due collassate domenica», racconta Brika.

A tre mesi di distanza dalla sua visita, della diga rimane solo il ricordo di una foto pubblicata su Facebook. «Ho provato a sentire il professor Abu Baida, uno dei più esperti sulla questione Wadi Derna, mio caro amico, ma il suo telefono da domenica non squilla. Il professore era con me a giugno durante la visita alla diga», dice. «So per certo, invece, che il dottor Rafik, un altro ricercatore presente con noi all’incontro nell’università a giugno, è tra le vittime insieme alla sua famiglia». La mancata manutenzione delle strutture è stata ammessa anche dal vicesindaco della città secondo cui gli ultimi lavori sono stati eseguiti nel 2002.

Destino già scritto

In un paese come la Libia, diviso da una guerra civile tra est ed ovest e dove oggi sono presenti ancora due centri di potere differenti, la manutenzione delle infrastrutture non è una priorità, soprattutto nella Cirenaica, dove è situata Derna. La città è salita agli onori della cronaca nel 2014 quando gli uomini dello stato islamico issarono la propria bandiera nera. Il califfato durò poche settimane perché furono presto cacciati via dai gruppi salafiti locali.

Da allora il territorio è controllato dal generale Khalifa Haftar che dopo la pesante sconfitta militare subita a Tripoli nel 2020, si ritrova a dover amministrare una vasta regione ma senza fondi né sponsor. I suoi uomini tassano qualsiasi cosa, anche i traffici illeciti come quello degli esseri umani. In questo scenario, gli allarmi lanciati dalla comunità accademica sono rimasti inascoltati.

Da Tripoli il premier libico Abdel Hamid Dbeibeh a capo del governo di unità nazionale, fazione rivale del governo di stabilità nazionale di base nell’est, ha precisato che questo non è il momento delle accuse ma quello della solidarietà. Ha annunciato un piano di aiuti di circa due miliardi di lire libiche (circa 400mila euro). Una cifra bassa rispetto alla devastazione della regione dove interi quartieri non esistono più e le infrastrutture sono state ingoiate dalle acque.

La popolazione è unita

Questo è dunque il momento delle lacrime e della ricostruzione. E in Libia è partita una gara di solidarietà da ogni angolo del paese, nonostante la politica e le milizie vogliano l’ovest contro l’est e il sud contro l’est e l’ovest. «Entro i confini nazionali, non ci sono confini» scrive su Facebook Farouq, un ragazzo di Tripoli, in partenza con altri volontari per Derna.

«Sono in viaggio per vedere il disastro con i miei stessi occhi», racconta invece Marwan volontario della Mezzaluna Rossa libica partito da Misurata all’alba di mercoledì. Da Sabha stanno organizzando una raccolta fondi da mandare verso le zone colpite. A Derna sono già presenti unità di soccorso da Algeria, Tunisia, Turchia e Francia.

L’Italia ha inviato ieri due aerei militari C130 e una nave carichi di beni essenziali e soccorsi. In città mancano acqua, cibo, corrente elettrica. Il cedimento della diga, però, rischia di prolungare il processo di transizione politica nato sotto l’egida dell’Onu e mai concluso.

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