Continua a ingurgitare corpi il Mediterraneo, suo malgrado. Corpi che talvolta riesce a restituire a una mamma o un figlio che cerca almeno una tomba su cui piangere e talvolta gli restano impigliati negli abissi del suo ventre inerme. L’ultimo naufragio nel Mar Egeo, a 47 miglia nautiche da Pylos, si è portato con sé oltre 600 vite.

La prima strage di queste proporzioni nel Mediterraneo orientale. Una tragedia che riporta alla mente i grandi naufragi che si sono negli anni consumati nel braccio di mare tra la Libia e l’Italia, dove comandano le milizie per intenderci. È proprio la guerra tra milizie in Libia la linea rossa tra l’ultima strage al largo della Grecia e le altre avvenute a sud delle coste italiane dal 2013 in poi.

Gli equilibri rotti

LAPRESSE

Mesi fa in Libia sono saltate le poche alleanze che tenevano insieme trafficanti e gruppi di potere locali. La più potente lobby di trafficanti del paese che fa capo ai fratelli Ali e Hassan Buzriba di Zawiya, città a ovest di Tripoli, è oramai apertamente schierata contro il governo di Abdul Hamid Dbeibah. Una frattura che rende ancora più disperato il tentativo dei governi europei di trovare una controparte forte in terra libica in grado di garantire la “chiusura del mare”.

Perché è chiaro che il governo di Roma sta puntando a questo, al netto delle parole di rito – anche queste poche, sul rispetto dei diritti umani e il diritto alla migrazione. Già a gennaio scorso la neo-premier Giorgia Meloni volava a Tripoli con una folta delegazione di governo promettendo 8 miliardi di dollari per forniture di gas in cambio del controllo dei confini sud dell’Italia. Il gas si spera arrivi tra tre anni ma le motovedette per fermare i migranti in mare sono già in consegna alla Marina militare libica.

Una politica, quella di Roma, che in realtà non fa che esasperare la competizione tra le fazioni rivali in Libia in cerca di legittimità e soldi.

Lo scenario

Per anni il governo di Tripoli ha coperto le attività illecite delle milizie al soldo del ministero della Difesa e quello degli Interni, coinvolti nei traffici di esseri umani e diesel. Solo nel 2020 quando l’allora ministro degli Interni Fathi Bashaga lanciò l’operazione “Caccia ai serpenti” contro i trafficanti nel tentativo di conquistarsi il pieno appoggio della comunità internazionale per la nomina imminente del nuovo premier, si registrarono per la prima volta tensioni tra la lobby di trafficanti di Zawiya e il consiglio presidenziale di base a Tripoli.

Ma a Ginevra nel marzo del 2021 Bashaga, si presentò come candidato della coalizione che vedeva dentro pezzi dell’establishment del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’Est della Libia e nemico giurato di Tripoli. Bashaga uscì sconfitto dalla votazione tecnica presso il quartier generale delle Nazioni Unite, mentre Dbeibah divenne premier del governo ad interim.

Dopo qualche giorno il capo dei guardacoste di Zawiya fatto arrestare da Bashaga mesi prima, fu rimesso in libertà, ufficialmente per mancanza di prove, e l’asse Zawiya–Tripoli, quella delle larghe intese tra ufficiali, trafficanti e governanti in perenne trattativa con Roma e Bruxelles pareva più solida che mai.

La prima rottura ufficiale lo scorso anno: Bashaga da Est ha tentato la conquista della capitale con un colpo di coda di cui solo politici e mafiosi sono capaci chiedendo di fargli da testa di ponte proprio a Ali Buzriba, parlamentare a Tobruk e ufficioso rappresentante nelle istituzioni della lobby della tribù Abu Mohira di Zawiya dove di giorno gestisce il controllo delle coste e di notte i traffici lì in continua espansione.

Un paio di giorni di scontri a fuoco alla periferia della città che si sono risolti con una sconfitta cocente per Bashaga e i suoi alleati. La lobby degli Buzriba che comandano buona parte delle coste a Ovest di Tripoli, è oramai ostile al Governo di Dbeibah.

Una guerra combattuta sul fronte della legittimità politica, dove Tripoli, a Ovest, è da anni impegnata a difendere il proprio ruolo da capitale del paese, da governo legittimo e quindi unico interlocutore della comunità internazionale. Mentre a Est il generale Khalifa Haftar tenta la conquista della scena internazionale.

Una guerra che fino ad alcuni mesi fa poteva e doveva essere letta in termini di appartenenza territoriale. L’Ovest e le sue milizie con Tripoli, l’Est e la sua composita e variegata coalizione di gruppi armati con Tobruq. Un allineamento tra governo e milizie locali oramai saltato.

Il fattore Haftar

Per Haftar è giunto il momento propizio di ritentare la carta del poliziotto dei confini a sud dell’Europa. Lo scorso aprile il generale è volato a Roma per un colloquio con la premier Giorgia Meloni coperto da riserbo.

Tuttavia, si sa, al centro dell’incontro il file della migrazione irregolare. Haftar ha iniziato così la sua corsa per la riconquista sull’avversario Tripoli tre anni dopo la sua debacle nell’operazione militare sulla capitale e soprattutto un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina con cui il suo partner russo lo ha lasciato nel bel mezzo delle sabbie mobili del deserto a sud. Haftar è tornato a offrirsi come l’uomo forte in terra libica in grado di bloccare le partenze.

D’altronde anche lui, come i suoi avversari a Tripoli, preventivamente lascia che in migliaia di disperati partano dalle coste sotto il suo controllo così da convincere i suoi interlocutori tra Roma a Bruxelles della necessità di un guardiano.

I confini porosi

Da oltre due anni il confine tra l’Egitto e la Libia è diventato poroso, praticamente spalancato per chiunque voglia passare e imbarcarsi verso l’Europa. Le agenzie di intermediazione pakistane fanno atterrare direttamente i loro clienti all’aeroporto di Benina a Bengasi. Pescherecci in legno caricano centinaia di egiziani e asiatici tra Tobruk e Al Marj.

La misura è colma e Ghnewa, capo delle SSA oramai sempre più coinvolte nel business delle intercettazioni dei migranti in mare, dichiara illegale il centro di detenzione per migranti gestito dagli Abu Mohira a Zawiya. Bashaga tenta il colpo di coda dichiarando il centro di Maya parte del Dipartimento Anti Immigrazione Irregolare (Dcim) del suo Governo a Est.

Dbeibah lancia un’operazione militare contro i traditori del clan Abu Mohira mandando droni turchi a bombardare il porto di Al Maya e altre postazioni del cartello che poi altro non è se non la lobby che ha maggiormente beneficiato del sostegno logistico e finanziario che Roma e Bruxelles hanno garantito dal 2017, anno della firma del Memorandum di Minniti, a oggi. Pochi giorni dopo Dbeibah si presenta a Roma per offrire le sue garanzie sul controllo delle frontiere. Omette, glissa sui problemi interni.

Forse a Roma sanno delle frizioni tra Tripoli e Zawiya. Comunque la Meloni insiste: l’estate è alle porte e fare presto per per bloccare i migranti, o come dice la premier in uno sforzo diplomatico «il traffico di esseri umani». La settimana scorsa l’Italia ha consegnato ai libici altre due motovedette.

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