Prima del consiglio europeo del 29 e 30 giugno, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha reso le ordinarie comunicazioni in parlamento. In questa sede, e poi a margine del consiglio, Meloni ha affermato una serie di inesattezze. È quindi necessario fornire alcune precisazioni.

1) «Al Consiglio europeo straordinario di febbraio scorso, grazie all’azione dell’Italia, finalmente è stato riconosciuto da tutti gli Stati membri e dalle istituzioni europee che la migrazione è una sfida europea e, dunque, richiede risposte europee».

La dimensione europea del tema immigrazione non è stata scoperta grazie a Meloni. Se ne parla da anni nei vertici europei e, in termini regolatori, dal settembre del 2020, con il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. Nel presentare il patto, la commissione Ue lo definì «un nuovo inizio in materia di migrazione», al fine di «trovare un nuovo equilibrio tra responsabilità collettiva e solidarietà». Tra gli interventi normativi previsti dal patto – del quale abbiamo diffusamente scritto - c’è il regolamento per la procedura comune d'asilo nonché quello per la gestione dell’asilo e della migrazione, su cui l’8 giugno scorso è stato raggiunto un accordo, approvato a maggioranza qualificata, nel consiglio dell’Ue.

In occasione del consiglio europeo dei giorni scorsi, Meloni ha espresso soddisfazione perché, grazie all’Italia, l’Unione avrebbe compreso la necessità di fermare i movimenti primari dei migranti. Ma l’Ue l’ha compreso da tempo: nel 2015, istituì il fondo fiduciario per l’Africa, di oltre 5 miliardi di euro; nel 2017, adottò un programma del valore di 42 milioni di euro anche per supportare la guardia di frontiera e costiera libica nella sorveglianza delle frontiere; nel 2018, fornì ulteriori 45 milioni di euro; nel 2021 stanziò circa 85 milioni di euro per sostenere le autorità libiche sempre nel controllo dei confini. Queste sono solo una parte delle risorse destinate negli anni all’Africa. I 12 milioni di euro, vantati da Meloni, che la commissione Ue ha appena riservato alle migrazioni non sono di certo un risultato “storico”. Nel 2016, furono stanziati 6 miliardi nell’accordo con Erdogan per i siriani in fuga dalla guerra.

2) «Proponevano che gli Stati che dovessero rifiutare i ricollocamenti dei migranti pagassero quelli che dovevano ricollocare i migranti (…). Abbiamo chiesto e ottenuto che quelle risorse alimentino, invece, un fondo per difendere i confini esterni, non per gestire l’immigrazione illegale, ma per contrastarla».

Al di là dei toni enfatici di questa frase, la realtà dice che Meloni non è riuscita a impedire in sede Ue che l’accoglienza dei migranti da parte dei paesi non costieri possa essere evitata, sostituendola con una somma di denaro.

In sintesi, è stata fissata una soglia minima di migranti da ridistribuire ogni anno (30mila persone). La Commissione ne assegnerà una quota a ciascun paese, in base a Pil e popolazione. Ma si potrà eludere tale assegnazione pagando una compensazione finanziaria, pari a 20mila euro per ogni persona non accettata. I soldi potranno essere destinati alla gestione delle frontiere esterne dell’Ue.

Quindi, resta fermo il principio base del regolamento di Dublino (n. 604/2013), che impone al primo paese d’entrata l’onere di accogliere i migranti e valutare le loro istanze d’asilo. Insomma, il nuovo Patto non sancisce un meccanismo cogente di ricollocamento nei vari Stati membri, con la conseguenza che il peso resta a quelli di primo ingresso. Ciò anche perché l’Ue continua a non affrontare il tema dei soccorsi nel Mediterraneo – con una missione europea – che è strettamente legato agli sbarchi nei paesi costieri e alla loro accoglienza, come visto. Pertanto, è opinabile che Meloni sia riuscita a «cambiare il punto di vista» dell’Ue sulle migrazioni, come ha affermato a margine del Consiglio.

3) «Sono fiera di essere arrivata alla guida di questa nazione quando era lanciata a folle velocità verso la cancellazione dei confini nazionali, il riconoscimento del diritto inalienabile alla migrazione e quindi ad essere accolti in Europa senza vincoli e senza distinzioni, il divieto di adottare qualsiasi misura di contenimento dell’immigrazione illegale, arrivando perfino a legittimare chi sperona le navi dello Stato italiano».

Quest’affermazione contiene almeno tre inesattezze essenziali, tra le altre. La prima riguarda la «cancellazione dei confini nazionali». È vero l’opposto. L’Italia è arrivata a esternalizzare le frontiere pur di difenderle dall’arrivo di migranti. Il memorandum d’intesa Italia-Libia, siglato nel 2017 e poi rinnovato, ha la finalità esplicita di tenere i migranti al di fuori dei confini italiani. Nonostante torture e violenze nei campi di detenzione - in violazione dei diritti umani, come documentato dall’UNHCR – l’Italia continua a fornire alla Libia risorse per non far partire chi prova a fuggire.

In secondo luogo, non è vero che, prima dell’attuale governo, si praticasse un’accoglienza indiscriminata. Meloni fa confusione tra accoglienza e soccorso dei migranti: è quest’ultimo a essere incondizionato. Le convenzioni internazionali impongono il salvataggio in mare e poi, in forza del meccanismo di Dublino, lo Stato di primo ingresso ha l’onere di farsene carico, come spiegato. Quanto all’accoglienza, invece, le tipologie di permessi di soggiorno sono limitate, e chi non ne ha diritto andrebbe rimpatriato. Ma ciò non sempre accade: nel 2018 Salvini promise 500.000 rimpatri all’anno, ma da ministro dell’Interno riuscì a farne solo 6.862 tra il 1° agosto 2018 e il 31 luglio 2019. I canali di entrata regolare in Italia, poi, sono pochi. A partire dalla vigente legge Bossi-Fini (n. 189/2002), l’ingresso per motivi di lavoro – primo canale - può avvenire solo entro quote (d.lgs. n. 286/1998) stabilite nel cosiddetto decreto flussi. Negli anni scorsi, tale decreto ha quasi azzerato gli ingressi, mentre con Meloni consente l’arrivo di 82.705 di persone per il 2023. Detto ciò, il decreto flussi, più che permettere l’ingresso legale di migranti, rappresenta una sorta di regolarizzazione “mascherata” di molti già presenti illegalmente in Italia: difficile immaginare si assumano al buio stranieri che si trovano nel proprio paese, talora non formati e che forse non parlano l'italiano. Poi ci sono i corridoi umanitari - secondo canale - realizzati in particolare con la Comunità di Sant’Egidio: dal febbraio 2016 al marzo 2023 sono arrivate in Italia 5.248 persone. Un numero esiguo, se si pensa che dal 1° gennaio al 30 giugno 2023 sono giunti qui 64.930 migranti.

La terza mistificazione riguarda la legittimazione allo “speronamento”. Il riferimento è a Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3, che nel giugno 2019, entrando in porto a Lampedusa nonostante il divieto di ingresso, ebbe un impatto con una nave della Guardia di finanza (Gdf). Rackete fu arrestata per resistenza e violenza a nave da guerra e resistenza a pubblico ufficiale. Ma il giudice per le indagini preliminari di Agrigento non convalidò l’arresto: da un lato, le navi della Gdf possono considerarsi navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali o in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare, circostanze escluse nel caso in esame; dall’altro lato, la condotta di Rackete era scriminata, cioè giustificata, dall’adempimento del dovere di soccorso in mare (art. 51 c.p.). Nel gennaio 2020, la Corte di Cassazione confermò queste conclusioni: in base alle convenzioni internazionali, tra l’altro, il salvataggio si conclude con lo sbarco dei naufraghi «in un luogo sicuro», ed è ciò che la comandante aveva provato a fare. Nel dicembre 2021, il gip di Agrigento archiviò l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, avendo la comandante «agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale». Dunque, non la politica, ma l’autorità giudiziaria ha reputato legittima l’azione di Rackete.

Un’ultima considerazione: nelle conclusioni del consiglio europeo il capitolo sull’immigrazione non è stato nemmeno menzionato, per il mancato accordo con Ungheria e Polonia, paesi “amici” di Meloni. Altro che successo.

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