A sera, nella cornice neoclassica dell’ambasciata d’Italia a Berlino, davanti ad un parterre di 500 leader religiosi mondali, Antonio Tajani inizia il suo saluto ricordando il recente viaggio in Cina: «Ho insistito molto con le autorità cinesi affinché spingano sulla Russia perché la guerra abbia un termine».

Il suo messaggio si rivolge agli invitati della Comunità di Sant’Egidio che celebra nella capitale tedesca il suo 37° meeting interreligioso per la pace, dal titolo “L’audacia della pace”. L’apertura è avvenuta domenica 10 settembre con gli interventi di Andrea Riccardi, del presidente federale Frank-Walter Steinmeier, del grande imam di al Azhar Ahmed el Tayyeb e del presidente della Guinea Bissau Sissoko Embalo.

Il cancelliere Sholz parlerà oggi alla chiusura. Domenica ha colpito molto la testimonianza di Zohra Sarabi, giovanissima profuga afghana salvata dai corridoi umanitari di Sant’Egidio, che ha detto: «Molti in Europa credono che noi andiamo cercando un futuro migliore, ma noi invece cerchiamo soltanto un futuro».

È in questo clima che Tajani si è immerso, insistendo molto sul tasto della pace. Si tratta del cruccio più grande dei leader religiosi mondiali: il vicepresidente del Consiglio ha parlato anche davanti all’inviato del papa per la pace in Ucraina, il cardinale Matteo Zuppi, in procinto di partire per Pechino, sottolineando gli sforzi dell’Italia perché si giunga al più presto ad una pace giusta.

«L’Italia  – ha detto – sostiene le iniziative di papa Francesco per la pace. L’Italia sostiene tutte le iniziative di pace, anche quelle di Tayyep Erdogan per il corridoio nel Mar Nero».

Nel pomeriggio il ministro degli Esteri aveva già tenuto un keynote speech davanti ad una parte dei leader religiosi, sul dialogo interreligioso come asset per la pace globale.

La realtà è che le religioni in questi trent’anni di dialogo si sono avvicinate più degli stati nazionali, che invece si sono allontanati. Mentre il multilateralismo politico è in crisi, quello interreligioso vive una stagione felice, soprattutto dopo che per anni le religioni erano state accusate di fomentare il clash di civiltà.

Al contrario si è visto – come ha sottolineato Tajani – che la fede non è un ostacolo al conoscersi e al parlarsi. Chi è sicuro della propria identità non teme il confronto con altri, anche molto diversi da sé.

Purtroppo – ha proseguito – assistiamo a scontri all’interno delle stesse civiltà, con cristiani che uccidono cristiani come in Ucraina, e musulmani che uccidono musulmani, come in Siria o Sudan. Le religioni hanno compiuto un lungo cammino di riavvicinamento tra di loro ed hanno ormai assunto il linguaggio della pace come lingua comune.

Paradosso

Per questo oggi assistiamo al paradosso che la politica degli stati è più divisa delle religioni, malgrado i loro limiti. Resta molto da fare perché le religioni resistano alla tentazione di lasciarsi manipolare per altri scopi.

Il fatto religioso è legato all’identità e alla storia di un popolo e di una nazione. Nonostante ciò mantiene sempre al fondo del proprio messaggio uno spirito universalistico che rappresenta lo strumento attraverso il quale si riesce a dialogare con le altre fedi, ha concluso il ministro.

Per Sant’Egidio il punto centrale è la pace, oggi molto minacciata. Per quanto riguarda la chiesa cattolica va detto che i papi del Novecento hanno maturato una vera e propria avversione per la guerra, considerandola – fin dalla Prima guerra mondiale –  una sorta di guerra civile tra cattolici o cristiani, quindi insopportabile per la chiesa.

Il sogno di Giovanni Paolo II era quello delle transizioni pacifiche (che riuscì ad accompagnare in Cile, nelle Filippine ecc.). «Non c’è giustizia senza perdono» diceva il papa: cioè non si può fare giustizia in un clima d’odio.

Ciò non significa mettersi contro la fine dell’impunità: si tratta piuttosto della via cristiana alle mediazioni, suscitando una cultura della riconciliazione e non della vendetta. È noto come molti accordi di pace falliscano (come Minsk 2) perché si dimentica di costruire la vera riconciliazione.

Dal canto suo papa Francesco lega la pace alla cura dell’ambiente e alla lotta alla diseguaglianza. Giustizia diviene così cambiamento del paradigma sociale. In altre parole si potrebbe dire: non esiste guerra santa, solo la pace è santa. Mentre le nazioni si dividono e il quadro multilaterale pare non riuscire a contenere le crisi, la simpatia tra le religioni aumenta e si consolida. Si tratta di una novità unica della storia.

Strumentalizzazioni estremiste

La premonizione dello scontro delle civiltà basata sul dato cultural-religioso non si è avverata. Certamente ci sono tanti problemi come l’estremismo dei buddisti birmani o quello degli indù contro cristiani e musulmani, le sette cristiane neo-evangelicali tendenzialmente suprematiste, l’annoso tema dei salafiti islamici (circa 1,5 per cento dei musulmani) da cui nasce la propaggine jihadista, i talebani reazionari e così via.

Ma si tratta di casi di strumentalizzazione politica delle religioni. Anche in situazioni molto tese, i leader religiosi stanno maturando sempre più una cultura del dialogo e dell’incontro e ciò avviene anche in ambienti tradizionalmente chiusi alla comunicazione con le altre fedi, come in medio oriente o in Pakistan.

In tale contesto durante il meeting è stato ricordato il documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi formato da papa Francesco e dal grande imam Tayyeb. Con il tempo il dialogo interreligioso ha portato i suoi frutti ed ora se ne vedono i risultati. Si tratta di una silenziosa ma forte resistenza che salda i leader religiosi di fedi diverse, per dare una risposta alla guerra infinita. 

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