Trump usa i metodi dell’Ottocento con i mezzi di oggi. Gli Usa vogliono dominare l’emisfero nord. La loro potenza è quella dell’accesso globale. Se si trattano gli amici con durezza, cosa significa per i nemici?
Basta guardare una mappa mondiale per capire quello che chiede Donald Trump: non si tratta di una boutade ma di qualcosa di molto serio. Avere il controllo della placca territoriale nord (quella che include Usa, Canada e Groenlandia) significa dominare tutto l’emisfero settentrionale, comprese le rotte artiche. Gli Usa ci insegnano che la potenza non si misura solo in quantità e qualità di armamenti (che certo contano) ma anche in capacità di accesso. E gli Stati Uniti sono il solo paese al mondo che ha accesso dovunque, con basi di ogni tipo. Il sogno di Pechino sarebbe di imitare gli americani mediante l’accesso ai mari del sud (Taiwan sbarra la strada) e all’oceano Pacifico.
Intimidazione e interessi
Tuttavia possedere la Groenlandia (dove già ci sono basi Usa) permetterebbe anche di mettere le mani su una miniera di terre rare unica nel suo genere. Anche la Russia può farlo in Siberia ma le mancano le capacità tecnologiche e i denari per crearsele. Almeno per ora. Così Trump fa un passo avanti. Probabilmente non vuole fare la guerra a Ottawa o a Copenaghen, ma intimidire entrambi certamente sì: un modo per farli cedere facilmente alle prossime avances americane su trattati e condizioni capestro a proposito dello sfruttamento dell’area.
Sul canale di Panama il discorso è diverso: si tratta di securizzare gli stretti. Lucio Caracciolo ha fatto un recente studio (che si può trovare online) a proposito degli stretti, tra i quali ovviamente Panama. La questione per Washington è di primaria importanza: assicurarsi stabilmente il passaggio da un oceano all’altro.
L’impresa Salini (oggi WeBuild) ha raddoppiato il canale con un’opera davvero gigantesca che ora permette il passaggio a navi più grandi, come i supercontainer. Va detto che durante i lavori, le relazioni con l’autorità del canale (giuridicamente separata dal governo del paese) non sono state semplici a dimostrazione che non tutto fila liscio.
È probabile che gli americani abbiano dei conteziosi aperti o non vogliano seccature. Con il suo tipico modo irruente e diretto Trump ha voluto mettere in chiaro che non sarà malleabile: un modo per riaffermare che l’America tornerà “great again”. Va detto che minacciare un alleato della Nato come la Danimarca (molto vicina ai five eyes di Echelon tra l’altro) crea un vulnus nell’alleanza: un altro messaggio del tycoon per dirci che la Nato non è una sua priorità.
Sul Canada, che vive una crisi politica interna, l’obiettivo è mandare un messaggio ai conservatori in procinto di vincere le prossime elezioni: accordiamoci per abbattere il deficit commerciale. Qui c’è un punto che Trump dovrà chiarire: se gli Stati Uniti vogliono restare l’unica superpotenza mondiale dovrebbero accettare anche di essere il compratore di ultima istanza e non tanto un paese esportatore: in questo modo si spiega la supremazia del dollaro. Per capirlo basta pensare a come si sono evoluti i rapporti commerciali con il Giappone.
L’unico settore in cui ci deve essere assoluto monopolio è la tecnologia militare e la ricerca ad essa collegata (come l’intelligenza artificiale e il settore spazio). Ma per ora Trump pensa l’opposto mettendosi sullo stesso piano della Cina: vuole che gli Usa producano “di tutto di più” per vendere all’estero. Si tratta di politica interna (più lavoro) e non di strategia globale.
Modellare il mondo
Infine cambiare nome del Golfo del Messico in Golfo dell’America significa volgere uno sguardo interessato all’ultimo stato del nord America: il Messico appunto.
Già durante il primo mandato Trump aveva puntato il dito contro i messicani sia per l’immigrazione (il famoso muro mai costruito) che per il Nafta, l’accordo commerciale che ha permesso loro di ereditare parte della produzione manifatturiera americana. Con una battuta da quelle parti si dice che “un’automobile Usa passa la frontiera 8 volte” prima della messa su strada. Del Nafta si avvantaggiano anche parecchie imprese italiane che si sono piazzate nel “diamante” (il quadrilatero industriale messicano) per produrre a costi contenuti ed esportare sia verso nord che verso il Brasile.
Tuttavia non conviene agli Stati Uniti “assorbire” il Messico in qualsivoglia forma: rischierebbero di importare anche molti dei suoi problemi di criminalità, dei quali già subiscono parecchi effetti. Le “battute” di Trump ci danno la dimensione di quale sarà il suo avvio in politica estera: tentare di modellare il mondo – anche geograficamente – sulla base degli interessi strategici americani.
D’altronde gli Stati Uniti nel XIX secolo si sono allargati comprando terre (oltre due milioni di km2 con l’acquisto della Louisiana dalla Francia) , occupandole o strappandole ai vicini (al Messico furono presi gli attuali Arizona, California, Colorado, New Mexico, Nevada, Texas e Utah più qualcosina). Trump rinnova questo metodo ma con gli strumenti del XXI secolo. Se tratta così amici e alleati, cosa farà dei nemici?
© Riproduzione riservata