Come si è visto al vertice Brics in Sudafrica alla fine di agosto, la mappa geopolitica del mondo sta cambiando rapidamente. I nuovi membri ammessi sono Arabia Saudita, Iran, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Argentina.

Cosa sta provocando tale slittamento tettonico globale? In primo luogo la concorrenza tra Stati Uniti e Cina che ha frenato la globalizzazione e mandato in crisi il multilateralismo economico e finanziario.

Non è l’eventualità che il dollaro sia sostituito come moneta di riferimento globale ad impressionare (siamo ben lungi), ma il fatto politico che se ne parli. Non è da escludere che un’alternativa alla finanza governata dagli americani prenda prima o poi piede.

Poi c’è la guerra in Ucraina che ha creato tre schieramenti: l’occidente collettivo; la Russia e i suoi (pochi in verità) alleati; il global south che ne paga le conseguenze e a cui Pechino offre una sponda.

La critica alla mentalità da Guerra fredda rivolta contro gli Stati Uniti e gli europei, fa breccia in molte paesi del sud e rafforza il partito contro la guerra, anche a costo di accettare lo scambio “pace per territori”.

Infine, la pandemia del Covid che, invece di provocare una corsa solidale alla collaborazione mondiale, ha messo a nudo le distanze tecnologiche e di ricerca tra i vari blocchi. Anche all’interno degli schieramenti è in atto una ristrutturazione. La Germania ha perso il suo primato di potenza esportatrice (che avrà conseguenze sull’Italia), la Francia la sua autorevolezza militare e politica (vedi i ripetuti golpe in Africa e l’allineamento in Europa sulla guerra in Ucraina).

La Turchia ha recuperato molti spazi ma ora si trova ad un bivio nelle sue relazioni con la Russia. Quest’ultima dal canto suo è nelle mani della Cina: per resistere deve continuare ad ricevere il sostegno di Pechino, almeno in termini finanziari. L’India cresce per rilevanza geopolitica mentre il Giappone scende.

La Corea del Sud si ritrova in prima linea nello scontro Usa-Cina; il Brasile cerca (per ora senza ottenerla) una posizione mediativa tra blocchi.

Forza energetica

La forza dei nuovi Brics allargati non è tanto in termini di potenza economica (il terzo del Pil mondiale dei suoi membri è essenzialmente fatto con l’occidente) quanto energetica: almeno quattro dei maggiori produttori di petrolio del mondo ne fanno parte, rendendo l’organizzazione una specie di mini-Opec.

Uno sguardo più attento all’elenco dei paesi invitati ad aderire rivela decisioni prese con gran cura. Per rimanere in equilibrio non si poteva ammettere l’Arabia Saudita senza far aderire anche l’Iran; o l’Egitto senza accettare anche l’Etiopia.

Gli Emirati Arabi Uniti vengono considerati in scia con Riad ma anche concorrenti. Infine l’Argentina è il maggior partner subcontinentale di Brasilia.

Per ciò che riguarda l’Africa, la scelta di Egitto ed Etiopia mette per ora fuori gioco Algeria e Nigeria che avevano richiesto l’adesione. Sull’Algeria pesa l’isolamento che si è andato creando attorno al regime negli ultimi 20 anni, dimostrato anche dalla perdita di rilievo all’interno dell’Unione Africana.

Molti pensano che nelle vicende riguardati il jihadismo saheliano non sia del tutto assente la mano di Algeri. Per la Nigeria il discorso è parzialmente diverso. La perdita di influenza è dovuta soprattutto al caos interno per il quale non si è ancora trovato alcun contenimento.

Abuja si considera il gigante d’Africa ma secondo Pretoria sono il Sudafrica, l’Egitto e l’Etiopia assieme a costituire la reale potenza africana. E’ noto che l’economia nigeriana, per quanto ricca ed enorme, è affetta da grave corruzione. Impunità, criminalità, banditismo e terrorismo caratterizzano la vita economica e sociale del paese.

Nessun investimento è al sicuro come non lo è la vita dei cittadini. Per questo negli ultimi anni la Nigeria ha perso prestigio.

Anche i risultati delle recenti elezioni sono considerati molto discutibili. Ammettere la Nigeria come membro dei Brics in tali circostanze, sarebbe stato dannoso per la reputazione dei cinque fondatori. Rimane per tutti la sfida della stabilità.

I ripetuti colpi di stato in Africa (come la rivolta abortita della Wagner in Russia) lanciano un messaggio globale: nessun regime, sistema o tipo di governo può dirsi al sicuro dal disordine e dalla frammentazione in atto un po’ dovunque.

A rischio non sono tanto i modelli di governance ma la tenuta stessa degli stati. La si chiami come si vuole: somalizzazione, balcanizzazione o libizzazione sono in agguato per tutti.

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