Fin quando nel mirino sono finiti marchi come Dolce & Gabbana (per uno spot con qualche stereotipo e allusione sessista di troppo), oppure H&M (“colpevole” di boicottare il cotone prodotto nella regione del Xinjiang), gli attacchi dei nazionalisti cinesi, per quanto virulenti, potevano essere considerati manifestazioni del diritto di critica.

Ma se a essere bersagliati sono nientepopodimeno che Mo Yan e Zhong Shanshan, premio Nobel per la letteratura e scrittore cinese più celebrato all’estero il primo, il secondo re delle acque minerali e uomo più ricco del paese, allora forse è lecito farsi qualche domanda sulla deriva che rischia di prendere quel patriottismo che è la cifra della “Nuova èra” proclamata da Xi Jinping.

L’ultima offensiva contro Mo Yan l’ha lanciata un blogger, tale Mao Xinghuo (Mao Scintilla: quella che, secondo Mao Zedong, avrebbe «dato fuoco a tutta la prateria»), presentando un esposto alla procura di Pechino contro l’autore di Sorgo rosso, Il paese dell’alcool e altri capolavori. Lo scrittore avrebbe «calpestato la memoria dei martiri e degli eroi», per questo Mao pretende che i suoi libri vengano ritirati dal commercio e che sia multato con 1,5 miliardi di yuan, uno per ogni cinese.

Lo zelante estremista ha consegnato quattro pagine che dettagliano i presunti reati di Mo Yan: tra gli altri, la descrizione di membri dell’Ottava armata della strada durante la seconda Guerra sino-giapponese come sessualmente violenti, l’abbellimento di soldati giapponesi, la diffamazione di Mao Zedong, e la frase «Il popolo cinese non ha verità né buon senso». I magistrati non hanno potuto procedere, ufficialmente perché nella denuncia manca l’indirizzo di Mo Yan.

Svolta ideologica

«Una farsa, un gesto populista». Così l’ha definita Hu Xijin, voce del nazionalismo mainstream con milioni di follower. Tuttavia l’ex direttore del Global Times ha aggiunto che il sostegno espresso a Mao sui social rappresenta «una tendenza molto allarmante nell’opinione pubblica, con ripercussioni negative sulla società», e ha invitato le autorità a «fermare con decisione la diffusione e lo sviluppo delle forze estremiste».

Chiusa ormai da decenni la battaglia per l’egualitarismo, esauritasi anche la stagione delle riforme economiche, nell’attuale clima di diffidenza e, per certi aspetti, di contrapposizione con l’occidente, il partito unico sta valorizzando il patriottismo come principale collante tra sé stesso e il popolo.

Di quando in quando ci si accorge che il nazionalismo può diventare un boomerang, ma qual è l’ideologia alternativa nella Cina del XXI secolo?

E così nel 2018 è entrata in vigore la Legge per la protezione degli eroi e dei martiri, che criminalizza la “diffamazione” di chi ha dato la vita per il partito comunista e la patria, rendendo perseguibile qualsiasi narrazione eterodossa. Lo stesso reato è stato inserito nel codice penale, che lo punisce con tre anni di carcere.

Per contrastare quello che Xi stigmatizza come “nichilismo storico” – mentre dal web sono stati cancellati milioni di post e pagine sospettati di diffondere tale tendenza – dal 1° gennaio scorso è in vigore la Legge sull’educazione patriottica, che detta le responsabilità di famiglie, scuole e governi locali nella promozione del patriottismo.

A fare da grancassa al «grandioso risveglio della nazione cinese» ci pensano i media, che celebrano all’unisono la stabilità sociale della Cina contrapposta al “caos” dell’occidente, i suoi progressi militari, e che ricordano incessantemente i crimini dell’occupazione nipponica.

In Cina il partito comunista ha praticato la cosiddetta “riforma del pensiero” contro gli intellettuali già nella base rossa di Yan’an, negli anni Quaranta. Lo stesso Mo Yan, diventato famoso, è stato cooptato dal Pcc, che lo ha proiettato nella Conferenza politica consultiva del popolo cinese (di cui è stato membro dal 2013 al 2018), nonché nella Associazione degli scrittori, della quale è vicepresidente.

L’ossessione del nemico

Eppure, per i giovani ultranazionalisti «il premio Nobel gli è stato assegnato perché il suo lavoro è in linea con ciò che secondo l’occidente è politicamente corretto. La sua Cina è perfettamente in linea con ciò che l’occidente pensa e si aspetta da noi».

Nel suo discorso di presentazione del 2012, il presidente del comitato per il Nobel, Per Wästberg, ha reso omaggio a Mo Yan osservando – in riferimento alla tormentatissima storia della Cina del Novecento – che «la brutalità della Cina del XX secolo probabilmente non è mai stata descritta così apertamente». Questa frase, oscurata dai media, è stata riportata a galla dai commentatori nazionalisti, come prova del fatto che i romanzi di Mo Yan «hanno diffamato la Cina».

E negli ultimi giorni, mentre su internet ci si divideva su Mo Yan (la stragrande maggioranza degli utenti lo ha difeso) gruppi di consumatori avviavano il boicottaggio delle onnipresenti bottiglie di Nongfu, dopo che si erano sparse voci secondo cui la compagnia avrebbe utilizzato sulle sue confezioni immagini di edifici religiosi giapponesi. Zhong Shanshan ha chiarito che si tratta di elaborazioni artistiche di templi cinesi, ma ciò non ha convinto i nazionalisti. Sono diventati virali i video in cui gli utenti versano la Nongfu nel water, mentre nell’ultralealista provincia del Jiangsu alcuni supermercati ritiravano dagli scaffali i prodotti Nongfu, un business che «venera il Giappone».

Tornando a Mo Yan, non è la prima volta che lo scrittore nato 69 anni fa in un villaggio della provincia dello Shandong viene preso di mira, ma stavolta l’attacco è stato più massiccio, con migliaia di persone che hanno risposto “sì” a un sondaggio online sull’opportunità di processarlo. Soltanto un’iniziativa spontanea di gruppi di fanatici? Probabilmente sì. Lunedì scorso Mo Yan è stato ripreso dalla tv di stato mentre partecipava a un incontro a Pechino. Non è caduto in disgrazia, anche se stanno diventando più numerosi e rumorosi i cinesi che vorrebbero togliergli il Nobel.

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