Le guerre africane scompaiono dal radar mediatico ma non si fermano. In Etiopia la situazione rimane tesa: alcuni mesi dopo la rivolta dei miliziani amhara delle Fano (gruppi armati regionali), la sorte della regione resta in bilico. I combattimenti di agosto tra esercito federale e miliziani nazionalisti sono durati pochi giorni ma hanno coinvolto centri importanti come Lalibela o Gondar, che i Fano – termine che significa “combattenti per la libertà” – sono riusciti brevemente a controllare.

Malgrado la controffensiva governativa, gli scontri si sono spostati nella zona rurale dove i guerriglieri amhara hanno il sostegno della popolazione. C’è stato anche un più recente rinnovato attacco a Gondar, dimostrando che il rischio di degenerazione è sempre in agguato. I Fano rappresentano l’ala armata del raggruppamento etnonazionalista amhara. Durante la guerra contro il Tplf tigrino, si sono schierati con Addis Abeba, e ora pretendono vedere riconosciute come amhara le aree delle quali hanno preso il controllo durante il conflitto. Questo li porta in rotta di collisione con il governo federale che invece vorrebbe dirimere le contese regionali per mezzo di referendum o mediando tra gruppi. Le milizie Fano non sono alla loro prima ribellione: già prima della guerra in Tigray avevano mostrato velleità separatiste, divenendo una minaccia per il potere centrale, che più volte ha cercato di scioglierle. Il fatto di essersi dimostrati un alleato chiave per l’esercito federale contro i tigrini non ha mutato le cose né reso migliore il clima di collaborazione.

Il radicato nazionalismo amhara non si fida di nessuno, e accusa l’attuale governo del primo ministro Abiy Ahmed di preparare “un genocidio” contro gli amhara. Paradossalmente si tratta della medesima accusa invocata dai tigrini quando iniziò la guerra nel 2020. In realtà l’etno-federalismo istituito in Etiopia dai 27 anni di governo del Tplf di Melles Zenawi e iscritto nella costituzione del 1995, più che ravvicinare, ha allargato la separazione tra i grandi popoli dell’ex impero etiopico, come amhara, tigrini, oromo, afar, somali ecc. Oggi tutti sono estremamente gelosi della propria autonomia, che cercano – con gradazioni diverse – di allargare e potenziare, talvolta servendosi anche delle armi. Di conseguenza Addis si trova a dover gestire conflitti etnici latenti e/o accesi, in un clima generale di sospetto e complottismi. Il guaio è che ogni gruppo percepisce il governo federale come un nemico e non come un catalizzatore unitivo, sospettandolo di voler distruggere le culture regionali una dopo l’altra. In definitiva, la guerra contro il Tigray ha aumentato la diffidenza collettiva e non l’ha diminuita come ci si attendeva ad Addis.

Le rivendicazioni

La polemica con gli amhara verte su almeno due punti: il destino del Wolkeit, ossia della regione contesa tra tigrini e amhara, e lo status della capitale Addis Abeba, che secondo le attuali mappe regionali resta inserita nella regione oromo. In generale c’è la sensazione che il governo sia dominato dagli stessi oromo, il gruppo etnico più numeroso dell’Etiopia. In effetti Abiy Ahmed è il primo premier oromo dell’Etiopia, ma non pare aver ottenuto l’appoggio nemmeno di tutto il suo gruppo.

Prova ne sia che i guerriglieri dell’Oromo Liberation Army (Ola) proseguono nei loro attentati. Le milizie Fano si sono legittimate durante la guerra contro il Tplf, nella quale hanno svolto un ruolo cruciale, evitando l’avanzata dei tigrini fino alla frontiera internazionale con il Sudan, che avrebbe spezzato quell’isolamento che alla fine li ha costretti ad arrendersi. Durante la guerra nel Tigray i Fano hanno combattuto fianco a fianco con l’esercito federale, ricevendo anche aiuti e addestramento dall’Eritrea, un altro alleato chiave che ha permesso ad Addis Abeba di vincere la guerra.

Nel complicato mosaico etiopico, c’è da tener conto che oggi Asmara sostiene decisamente le rivendicazioni amhara. A complicare il quadro c’è il fatto che le milizie Fano sono accusate di aver perpetrato massacri e di svolgere una campagna di pulizia etnica antitigrina. Questo getta un’ombra sulle rivendicazioni amhara, anche se simili accuse riguardano tutte le parti in causa. Gli amhara sospettano che il governo federale abbia intenzione di rimettere il Wolkeit (che i tigrini chiamano Tigray occidentale) nella situazione ante guerra.

Di sicuro c’è che Addis vuole riportare l’ordine sciogliendo le milizie, così come tutte le forze armate regionali. Non si tratta di un compito facile: durante i 27 anni in cui i tigrini hanno gestito il potere la struttura regionale si è consolidata al punto da rendere molto difficile tornare indietro. In secondo luogo la guerra del 2020-22 contro il Tplf ha aumentato la diffidenza generale e la percezione che sia assolutamente necessario possedere una forza armata regionale o locale come forma di autodifesa. Lo pensano un po’ tutti, compresi gli afar e le altre etnie minori.

Oggi molte regioni posseggono i propri gruppi paramilitari in violazione della nuova costituzione federale dell’Etiopia. Anche se il governo di Abiy si è detto disponibile a negoziare, ciò che si annuncia nel breve e medio periodo è il perpetuarsi di una situazione di insurrezione a bassa intensità. Un conflitto prolungato renderà quasi impossibile governare il paese ed esporrà l’Etiopia alle negative conseguenze di tutte le instabilità del Corno d’Africa, inclusa la guerra civile in Sudan.

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