Nel secondo anniversario delle elezioni presidenziali “frudolente” in Bielorussia, l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha invitato «le autorità bielorusse ad aderire pienamente ai principi della democrazia e dello stato di diritto, a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali e ad agire nel rispetto del diritto internazionale e degli impegni assunti dalla stessa Bielorussia, anche ponendo fine alla sua collaborazione nella guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. (…) La nostra determinazione nel sostenere il popolo bielorusso rimane immutata.

Dall’agosto 2020 l’Ue ha impegnato circa 65 milioni di euro a sostegno del popolo bielorusso – vittime della repressione, società civile, media indipendenti, donne, giovani e studenti, piccole imprese, salute e cultura. Siamo pronti a mobilitare il nostro piano globale di sostegno economico da tre miliardi di euro una volta che avrà avuto luogo una transizione democratica in Bielorussia. Ciò dimostra chiaramente il nostro impegno a lungo termine a favore della pace, delle aspirazioni democratiche e della prosperità del popolo bielorusso.

Per l’Unione europea, la Bielorussia e la sua coraggiosa popolazione sono un importante vicino europeo. Siamo fermamente impegnati a continuare ad avvalerci degli strumenti a nostra disposizione, comprese ulteriori sanzioni e un maggiore sostegno, al fine di sostenere i diritti democratici del popolo bielorusso. Continueremo a difendere il popolo bielorusso e a sostenere una Bielorussia democratica, indipendente, sovrana, prospera e stabile».

La repressione

Foto Ap

Dalla contestata rielezione di Alexander Lukashenko alle elezioni presidenziali del 9 agosto di due anni fa, la situazione politica e sociale in Bielorussia è ancora fortemente condizionata da un’ondata di repressione senza precedenti.

Come riporta l’organizzazione Libereco per i diritti umani, il 70 per cento dei 1.225 prigionieri politici (alla data del 30 aprile scorso) è stato condannato dai nove ai 20 anni di reclusione e il 30 per cento sta ancora aspettando il verdetto finale.

Non solo. L’indagine di “Reporters Without Borders” pubblicata recentemente rivela che ci sono stati oltre 500 arresti di giornalisti indipendenti, così come minacce, torture e censure che hanno costretto molti professionisti a lavorare nella clandestinità o nell’anonimato.

Un “clima di terrore” costruito e diffuso nel paese dal presidente Lukashenko che, avvalendosi delle forze di polizia e dei servizi speciali, reprime qualsiasi tentativo di libertà di espressione nel paese. Dall’inizio delle proteste, il presidente ha implementato una serie di leggi ed emendamenti che hanno attaccato la libertà di stampa.

Poca libertà di stampa

Molti siti di informazione indipendente sono stati chiusi, come il più popolare Tut.by, etichettati come “attori estremisti” e soggetti a procedimenti penali. L’unica eccezione è il sito statale Btrc che continua a diffondere la propaganda governativa nel paese. L’Associazione dei giornalisti bielorussi ha stimato che circa 400 giornalisti sono fuggiti all’estero per evitare di essere incarcerati o uccisi.

Inoltre, chiunque può rischiare di finire in carcere per sette anni: basta iscriversi a un canale Telegram che rientra nella lista dei media “estremisti”. E così da esiliati all’estero, per lo più in Polonia, i giornalisti freelance cercano di mantenere viva l’attenzione nei confronti del loro paese, continuando a descrivere gli atti di repressione politica e sociale esercitati dall’ultimo “dittatore d’Europa”.

Preoccupati delle possibili ripercussioni sui loro familiari o di essere rapiti e riportati in Bielorussia, questi giornalisti non perdono la speranza di liberare il loro paese dall’oppressore, “di protestare e combattere contro la polizia”.

Tuttavia, la Bielorussia di Lukashenko ha dimostrato di essere impermeabile ai cambiamenti introdotti dalle “rivoluzioni colorate” in alcune regioni post sovietiche sia per le azioni coercitive dello stato sia per una distribuzione di benefici materiali alla popolazione che hanno favorito il sostegno al presidente per molto tempo.

Nel corso della sua presidenza trentennale Lukashenko ha avviato una serie di riforme costituzionali per rafforzarsi politicamente, come il referendum costituzionale del febbraio 2022 che gli garantirà di rimanere al potere sino al 2035. Qualcosa, e di non poco conto, è comunque cambiato dalle proteste nelle piazze dell’agosto 2020 nella strategia di Lukashenko: una totale dipendenza politica ed economica dalla Russia di Putin.

Dalla fase “creola”, basata sui valori di indipendenza, sovranità e l’ampliamento di partenariati esteri e di resistenza alle tendenze dominatrici ed espansioniste della Russia, che ha contraddistinto la politica di Lukashenko sino al 2006, le proteste anti regime dell’agosto 2020 hanno necessariamente modificato le relazioni con la Federazione russa.

Salvezza russa

Il presidente russo Vladirmi Putin insieme ad Alexander Lukashenko, presidente della Bielorussia / Foto AP

Per rimanere stabilmente al potere e migliorare la situazione economica del paese, Lukashenko ha compreso che l’unico ancora di salvezza è il “fratello” russo del Cremlino, capace di ammortizzare gli effetti negativi delle sanzioni economiche dell’Unione europea.

La Russia rappresenta, infatti, il 49,2 per cento del commercio estero bielorusso (ministero degli Affari esteri della Repubblica di Bielorussia 2020) e il settore strategico di maggior interesse riguarda le risorse energetiche.

Nel territorio bielorusso transita il gas russo verso l’Europa e la sua configurazione geopolitica è importante nel rapporto occidente-oriente. Sul piano militare il presidente Lukashenko ha avviato una serie di esercitazioni congiunte Zapad-2021 con la Russia, che sono aumentate dopo l’invasione russa in Ucraina.

A tal riguardo, il territorio bielorusso costituisce un punto d’appoggio per la linea di attacco russo all’Ucraina con circa 30mila soldati russi in base all’accordo Union Resolve 2022 che prevede anche il rifornimento di armi e attrezzature militari e logistiche. Dal periodo “fratelli-coltelli” delle relazioni russo-bielorusse di un decennio fa, l’autocrate Lukashenko si è tramutato nel fedele vassallo del Cremlino per evitare un colpo di stato e/o l’indebolimento politico nel suo paese.

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