Il colpo di stato in Myanmar non sta agitando solo la politica locale. L’Alta corte di Kuala Lampur ha chiesto al governo malese di bloccare il rimpatrio forzato di 114 migranti birmani presenti nel paese. Si tratta dell’ultimo capitolo di uno scontro tra le due istituzioni sul destino di 1.200 persone nate in Myanmar e migrate in Malesia. Il 22 febbraio la giustizia malese aveva chiesto al governo di bloccare la deportazione dopo che Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani avevano denunciato i rischi che i migranti avrebbero corso se rimpatriati in un momento molto delicato per la vita del Myanmar.

Il premier ha però ignorato l’ordine e ha già rimpatriato 1.1086 persone. La decisione della corte è stata accolta con favore dagli attivisti che continuano a chiedere al proprio paese di rispettare i diritti umani.

Il colpo di stato in Myanmar

La situazione in Myanmar è instabile dal 1° febbraio quando un colpo di stato militare ha rovesciato il governo democratico di Aung San Suu Kyi, al potere nel paese dal 2015 e confermata dalle elezioni del novembre scorso. L’obiettivo dell’esercito è di far ripiombare il Myanmar nella dittatura militare che ha governato già il paese tra il 1962 e il 2015. Per questo i sostenitori di Suu Kyi hanno iniziato una protesta che dura dall’inizio di febbraio con l’obiettivo di chiedere il ritorno della democrazia.

La risposta dei militari è stata una violenta repressione che ha visto le forze dell’ordine sparare sui manifestanti provocando la morte di almeno tre manifestanti. Nonostante le azioni del regime, le proteste proseguono e il 22 febbraio decine di migliaia di persone hanno partecipato allo sciopero generale convocato dai sostenitori di Suu Kyi, che si trova nel frattempo agli arresti domiciliari con l’accusa di importazione illegale di walkie talkie e di violazione delle norme anti Covid. 

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