Il presidente americano, Joe Biden, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno avuto una conversazione telefonica. Era un mese che i due non parlavano e la telefonata del 23 dicembre si era chiusa con una brusca interruzione da parte della Casa Bianca. Hanno parlato per 40 minuti, facendo poi trapelare che la chiamata si è svolta con toni cordiali, cosa non ovvia visto il rifiuto della proposta dei due stati da parte israeliana che ha fatto perdere la pazienza a Biden.

Se Stati Uniti e Israele tornano a parlare, dall’altra parte l’Autorità palestinese è chiaro sulla soluzione dei due stati. Non può esserci «sicurezza e stabilità nella regione» senza uno stato palestinese. Lo ha detto il portavoce del presidente palestinese, Mahmoud Abbas a Associated Press. É la risposta dell’Autorità palestinese alle affermazioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. 

Durante la conferenza stampa del 18 gennaio, Netanyahu ha dichiarato di aver comunicato già agli «amici americani» di non voler accettare la proposta relativa alla creazione dello stato palestinese. «In qualsiasi accordo futuro, Israele ha bisogno del controllo di sicurezza su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano», aveva detto. Secondo il premier, Israele vincerà la guerra anche se ci vorranno ancora «lunghi mesi». Gli obiettivi di Israele sono rimasti invariati. «Puntiamo alla vittoria completa. Una vittoria totale su Hamas», ha aggiunto. 

Anche il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha ricordato al segretario della Difesa americano, Llyod Austin, che Israele continuerà questa guerra fino a che Hamas non sarà eliminato e gli ostaggi saranno liberati. I due, però, hanno discusso della necessità di ridurre al minimo le vittime civili. 

Intanto, una delegazione di Hamas si è recata a Mosca per incontrare il ministero degli Affari esteri russo. Lo ha comunicato Hamas attraverso il canale Telegram. Mosca ha sottolineato la necessità di rilasciare gli ostaggi ancora detenuti nella Striscia, soprattutto dei tre con cittadinanza russa. Lo ha riportato Al Jazeera. 

Crisi interna 

Il governo israeliano continua ad essere diviso sul fronte guerra. L’ex capo militare, Gadi Eisenkot, ha criticato apertamente la decisione di continuare la guerra ad ogni costo diffusa durante la conferenza stampa. Per Eisenkot, Israele dovrebbe prendere in considerazione una pausa dal conflitto per consentire il rilascio degli ostaggi. «Dovremmo dire con coraggio che è impossibile restituire vivi gli ostaggi nel prossimo futuro senza un accordo», ha detto in un’intervista. 

Ha parlato anche della necessità di anticipare le elezioni israeliane. 

«È necessario, entro pochi mesi, riportare l’elettore israeliano alle urne per rinnovare la fiducia che in questo momento non c’è», ha aggiunto.

«Oggi ho fiducia nel collettivo, nel gabinetto congiunto che prenderà le decisioni», ha risposto alla domanda se si fidasse o meno di Netanyahu. 

La situazione a Gaza

Le forze di difesa israeliane stanno colpendo nel sud della Striscia di Gaza aree vicino al più grande ospedale ancora funzionante, Nasser. Nella Striscia sono due terzi gli ospedali che non sono più operativi, e secondo le Nazioni Unite altre due strutture, al-Aqsa e il Gaza European, rischiano di chiudere. 

I bombardamenti, sentiti nelle vicinanze dell’ospedale, a circa 150 metri, «hanno causato panico tra i pazienti e gli sfollati, lì per trovare rifugio», ha scritto Medici senza frontiere. Il capomissione per la Palestina dell’ong, Léo Cans, che si trova a Khan Younis nel sud della Striscia per supportare i medici e gli infermieri dell’ospedale Nasser, parla di una «situazione catastrofica» e chiede un immediato cessate il fuoco. 

Quanto sia critica la situazione sanitaria emerge anche dalle dichiarazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che ha lanciato l’allarme per il rischio di diffusione dell’epatite A. 

«Sono stati confermati a Gaza casi di epatite A con i test kit forniti dall’Oms», ha scritto su X il presidente dell’organizzazione, Tedros Adhanom Ghebreyesus.

«Le condizioni di vita disumane - assenza quasi totale di acqua pulita, servizi igienici puliti e possibilità di mantenere pulito l’ambiente circostante - consentiranno all’epatite A di diffondersi ulteriormente», ha evidenziato, mettendo in luce anche le difficoltà di rilevare le infezioni: «La capacità di diagnosticare le malattie rimane estremamente limitata. Non esiste un laboratorio funzionante. Anche la capacità di risposta rimane limitata».

Un altro attacco israeliano si è verificato vicino all’ospedale Shifa, a Gaza City, contro un edificio residenziale causando la morte di 12 persone. 

Al Jazeera ha riportato la morte di altre due persone nella zona Abasan di Khan Yunis, facendo salire il bilancio delle vittime a dieci per i bombardamenti israeliani nell’area. 

Il ministero della Salute palestinese ha diffuso i nuovi dati relativi alle vittime. 24,762 sono le persone che hanno perso la vita da inizio conflitto, 142 nelle ultime 24 ore. 

L’Idf, insieme allo Shin Bet, ha confermato la morte del «il vice capo dell’unità di propaganda della Jihad islamica palestinese», Wael Fanouneh. Già il 18 gennaio, al Jazeera aveva riportato la notizia, sottolineando che dall’inizio del conflitto sono morti più di cento giornalisti. 

Dopo una breve pausa, sono ripresi anche i bombardamenti nel sud del Libano. La notizia è stata riportata dai media libanesi, confermando per ora nessuna vittima. Un funzionario di Hezbollah, Mohammad Raad, ha avvertito Israele. «Il nemico israeliano non è pronto per la guerra che la resistenza islamica in Libano ha preparato», ha detto. Intanto, l’Idf è riuscita ad intercettare e poi abbattere un drone diretto a Israele dal Libano. 

Pakistan-Iran

Dopo la risposta pakistana contro gli attacchi iraniani nella regione Belucistan del 18 gennaio, il Pakistan ha convocato una riunione d’emergenza con i capi dell’esercito e dell’intelligence. L’obiettivo di questo incontro è «un’ampia revisione della sicurezza nazionale», ha detto il ministro dell’Informazione a Reuters. Subito dopo l’annuncio della convocazione, il ministro degli Esteri pachistano, Jalil Abbas Jilani, ha detto: «Il Pakistan non ha alcun interesse o desiderio in un’escalation». 

Jilani ha anche chiamato il suo omologo iraniano, Hossein Amir Abdollahian. I due hanno concordato sulla necessità di cooperazione tra i loro paesi, soprattutto «sulle questioni di sicurezza». 

L’invito all’uso della moderazione era arrivato anche dalla Cina che si era offerta per svolgere un ruolo da mediatore. Anche Teheran ha ribadito il suo impegno verso una politica di vicinato nei confronti del Pakistan, ricordando ad Islamabad a rispettare gli obblighi relativi alla presenza dei gruppi armati sul proprio territorio. 

Questione Houthi

Mohammed al-Bukhaiti, alto funzionario houthi, ha assicurato, in un’intervista data al media russo Izvestia, che le acque vicino allo Yemen sono sicure a meno che non siano collegate ad alcuni paesi, tra cui Israele. Lo riferisce Agence France Presse. 

«Per tutti gli altri paesi, compresi Cina e Russia», precisa al-Bukhaiti, «le spedizioni nella regione non sono minacciate». C’è di più, per Pechino e Mosca «siamo pronti a garantire il passaggio sicuro delle loro navi», dice l’alto funzionario, «perché la libera navigazione svolge un ruolo significativo per il nostro paese». 

Un comandante della marina statunitense, scrive il Guardian, ha evidenziato che in realtà gli attacchi hanno coinvolto navi legate a decine di nazionalità.

Dopo gli attacchi di ieri da parte degli Stati Uniti sui missili houthi, i ribelli yemeniti appoggiati dall’Iran hanno rivendicato un nuovo lancio di missili contro una nave Usa nel Golfo di Aden. «Le forze armate yemenite confermano che una ritorsione agli attacchi americani e britannici è inevitabile e che ogni nuova aggressione non rimarrà impunita», scrivono in una nota riportata dal Guardian. 

Nel suo primo discorso dall’inizio degli attacchi a novembre nel Mar Rosso, in solidarietà al popolo palestinese, il leader del gruppo sostenuto dall’Iran, Abdul-Malik al-Houthi, ha detto che è stato «un grande onore» confrontarsi direttamente con israeliani, statunitensi e britannici e ha ricordato il supporto ai gazawi. 

La chiusura del tratto di Mar Rosso meridionale sta imponendo ai paesi occidentali costi economici molto alti. 

L’Egitto sta conducendo dei colloqui con i rappresentanti dei ribelli Houthi e  con l’Iran per cercare una soluzione nelle acque internazionali. Lo riporta il giornale arabo al Araby al Jadeed. «É meglio spingere per una soluzione che acceleri la fine della causa principale, ovvero la guerra in corso nella Striscia di Gaza», ha detto un funzionario egiziano. 

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