Era dal 1859 che non si verificava una votazione così lunga per eleggere lo speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Il deputato repubblicano Kevin McCarthy ha dovuto attendere cinque giorni e quindici votazioni diverse prima di prendere il posto della democratica Nancy Pelosi tra gli applausi dell’aula.

Un voto sudato e ottenuto dopo strenue trattative con gli ultraconservatori e l’ala trumpiana del partito che non consideravano il 59enne californiano adatto al ruolo. McCarthy – eletto con 216 voti contro i 212 ottenuti dal suo oppositore democratico Hakeem Jeffries – ha dovuto cedere a varie richieste dei repubblicani «ribelli», così sono stati definiti coloro che hanno osteggiato il suo voto.

«Penso che, grazie a questa turbolenza, abbiamo davvero costruito la fiducia reciproca e imparato a lavorare insieme», ha detto McCarthy appena assunta la carica. «Quello che dovremo trovare nella nostra mentalità è che dobbiamo anticipare i tempi. Dobbiamo pensare e lavorare sulle proposte di legge», ha aggiunto. Nel suo primo discorso il neo speaker ha anche detto che gli Stati Uniti vinceranno la competizione economica con il Partito comunista cinese e che ci sarà un maggiore bilanciamento dei poteri con l’amministrazione democratica di Biden.

Le concessioni di McCarthy

Dopo la sua elezione, i 434 membri della Camera hanno prestato giuramento e lunedì voteranno una serie di regole interne che dovrebbero esplicitare alcuni dei compromessi fatti da McCarthy per ottenere l’incarico, ma che ridurranno il suo potere da speaker in una Camera già difficile da controllare.

«Quello a cui stiamo assistendo è un’incredibile contrazione della speakership, e questo è molto spiacevole per il Congresso», ha detto l’uscente Nancy Pelosi. Secondo quanto riporta il New York Times, McCarthy ha acconsentito alla regola che un singolo legislatore può decidere in qualsiasi momento di lanciare una mozione di revoca dell’incarico contro di lui e avrebbe anche accettato di concedere all’ala ultraconservatrice un terzo dei seggi del Comitato per le regole, una commissione che controlla quali leggi raggiungono l’aula e le modalità su come queste vengono discusse.

La settimana

Nelle prime votazioni la sua figura è stata osteggiata dai rappresentanti ultraconservatori del partito Repubblicano e dalla ala trumpiana che considerava McCarthy inadatto al ruolo di speaker. I trumpiani avevano dato il loro voto all’ultraconservatore Jim Jordan, che successivamente ha appoggiato McCarthy, incoraggiando gli altri deputati a fare lo stesso.

Dopo lo stallo iniziale anche l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto su Truth di «chiudere l’accordo e portare a casa la vittoria», in modo tale da non trasformare «un grande trionfo in una sconfitta gigante e imbarazzante». Una volta eletto McCarthy ha ringraziato Trump e specificato che lo ha sostenuto fin dall’inizio: «Qualcuno ha espresso qualche dubbio, ma lui c’era e c’era completamente», ha detto. «Era davvero impegnato per aiutarmi a ottenere quei voti finali». Lo scorso giovedì 5 gennaio anche Elon Musk, il miliardario proprietario di Twitter e Tesla, aveva espresso la sua opinione dopo già diversi voti andati falliti per il californiano. «Kevin McCarthy dovrebbe diventare speaker», aveva tweettato Musk.

Si arriva così alla giornata di ieri, con trattative che hanno convinto 15 dei 21 deputati necessari a McCarhty per ottenere la maggioranza. Ma ne mancavano ancora sei da convincere: Matt Gaetz, Lauren Boebert, Andy Biggs, Eli Crane, Bob Good e Matt Rosendale. Nel momento in cui la quattordicesima votazione è andata fallita i deputati avevano deciso di aggiornarsi a lunedì per il voto, ma l’ultima trattativa tra Matt Gaetz e McCarthy – considerato il capo dei deputati «ribelli» – ha portato a un nuovo voto in extremis durante il quale i sei deputati si sono limitati a dichiarare la loro presenza in aula senza votare né per il candidato appoggiato da Musk né contro di lui. Un’astensione che ha abbassato il quorum e gli ha garantito l’elezione.

L’ultima settimana della Camera ha dimostrato che le spaccature all’interno del partito repubblicano a pochi mesi di distanza dalle elezioni di midterm – tenute a novembre – continueranno anche per i prossimi due anni, con l’ala più a destra del partito che ha numeri validi per “boicottare” o adottare decisioni di peso come quella dell’elezione del loro speaker.

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