A guardarla da fuori, la vittoria di Giorgia Meloni è una grande festa per tutte le destre estreme d’Europa e del mondo. Ma dietro quel «bravo!» di Viktor Orbán, gli entusiasmi di Le Pen zia e nipote, le congratulazioni di destre spagnole e polacche, i complimenti dei repubblicani americani, ci sono altre chiavi di lettura. Ogni sovranismo capitalizza la vittoria italiana a modo suo: sono proprio questi movimenti interni a indicarci dove va il vento meloniano.

Effetti elettorali

Anzitutto ci sono i sodali di Fratelli d’Italia che stanno per affrontare un appuntamento elettorale. Per loro ciò che conta è l’effetto di trascinamento delle elezioni italiane. Vale per i paesi più vicini, come la Spagna, e per le elezioni più prossime, come quelle brasiliane. Domenica il Brasile va al voto e l’attuale presidente, Jair Bolsonaro, tenta la riconferma. Suo figlio Eduardo, candidato come deputato, vede nella vittoria di Meloni una conferma che i cavalli di battaglia condivisi dalle destre estreme in tutto il mondo funzionano, e scrive: «La nuova prima ministra italiana è Dio, patria e famiglia». Da un palco spagnolo, quello dell’estrema destra di Vox, Meloni aveva pronunciato un anno fa il suo cavallo di battaglia: «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy cristiana». Ora i solidi alleati di Vox sperano che la sua vittoria sia di buon auspicio anche per loro, in vista delle elezioni del 2023. «Avanti, Fratelli!», le parole del leader Santiago Abascal.

Attacchi all’Europa politica

Un altro tema ricorrente tra gli alleati europei di Meloni, e che torna in auge con il suo trionfo, è quello dell’Europa delle nazioni, in opposizione a un’Ue federale. Abascal chiarisce il potere disgregatore di questa avanzata sovranista citando «una Europa di nazioni sovrane»; concetto ripreso poi dall’eurodeputato di Vox, Jorge Buxadé: «La Ue è in preda a una crisi dopo l'altra e le istituzioni europee sono incapaci di risolverle, la strada federale non è quella che vogliono gli europei»; Meloni può guidare un’altra visione di Europa. È lo stesso modello condiviso anche dagli ultraconservatori polacchi, e dai meloniani: non una integrazione politica continentale ma semmai «cooperazione per la sicurezza».

Falchi contro l’Unione

Il premier polacco Mateusz Morawiecki si è subito complimentato con Meloni, del resto i due condividono sia la famiglia politica europea che l’attitudine: potenzialmente disgregatrice dentro, cioè dall’interno dell’Ue, e fortemente ancorata agli Stati Uniti fuori, ovvero rispetto alla guerra in Ucraina. Questo lunedì è arrivato anche il messaggio da Washington: il segretario di stato Antony Blinken scrive che «non vediamo l’ora di lavorare con il governo italiano ai nostri obiettivi condivisi: supportare un’Ucraina libera e indipendente, rispettare i diritti umani e costruire un futuro economico sostenibile. L’Italia è un alleato vitale, una democrazia forte, e un partner apprezzato».

Il presidente della repubblica polacco, Andrzej Duda, che è un punto di riferimento per Washington e un pontiere con l’Ue, questo lunedì ha attaccato «il disprezzo per la democrazia di chi dice che in un altro paese ha vinto la persona sbagliata». Una presa di posizione pro Meloni, ma pure una implicita difesa dello status quo in Polonia, attenzionata in Ue per il mancato rispetto dell’equilibrio fra poteri. Anche dall’altro paese noto per le violazioni dello stato di diritto, e cioè l’Ungheria, sono arrivate le congratulazioni, nella convinzione che in Ue la vittoria della destra italiana sposterà ancor di più gli equilibri in Consiglio a favore di Orbán. Perlomeno sul tema dello stato di diritto, finora le destre polacca e italiana non hanno mai abbandonato il premier ungherese. Eccolo quindi che dice «Bravo!» a Meloni, ed ecco il suo braccio destro Balázs Orbán inneggiare alla «amicizia» con la destra italiana, alle «visioni comuni e agli stessi approcci verso le sfide europee».

Competere e normalizzare

Anche le destre estreme francesi approfittano della vittoria italiana per ingrossare i propri consensi. Marine Le Pen la utilizza per la sua campagna di reclutamento, ma non è lei la erede diretta del successo di Meloni, che ha sabotato il piano del gruppone sovranista ideato da lei e da Salvini. La figura più affine a Meloni è Marion Maréchal, il cui marito è un eurodeputato di FdI; ma le parentele sono soprattutto politiche. Sotto il cappello della «unione delle destre», Maréchal ed Éric Zemmour puntano alla borghesia radicale di destra. Il loro progetto politico ha subìto due batoste elettorali, e la vittoria di Meloni è per loro una iniezione di fiducia. Durante le ultime elezioni francesi, a garantire a Le Pen zia una "normalizzazione" è stata anche la presenza di qualcuno più a destra di lei, e cioè lo xenofobo destrorso Zemmour, il cui progetto politico è costruito assieme a Maréchal.

E se c’è un’altra spinta che Meloni sta dando all’estrema destra è quella di dimostrare che la normalizzazione di facciata funziona. Infatti Maréchal insiste: Meloni? «Non chiamatela destra estrema».

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