Mentre la destra italiana guarda all’Ungheria e al modello Orbán, intanto anche da Budapest gli occhi sono puntati sull’Italia. Una vittoria della destra italiana «può innescare in Consiglio dinamiche favorevoli al premier ungherese», dice Katalin Halmai, corrispondente a Bruxelles per il giornale ungherese Népszava . «Everybody is looking at Italy», in Ungheria «tutti pensano che il cambio di governo in Italia determinerà la volontà politica di punire o meno» le derive autoritarie orbaniane a livello europeo. Tutti chi? «La classe politica ungherese, assolutamente. L’Italia può davvero fare la differenza per Orbán». Anche gli analisti, come lo studioso ungherese Daniel Hegedus, confermano che in questo frangente di passaggio per l’Ungheria il ruolo italiano è cruciale.

Anche se in superficie quel che appare è la scelta inedita della Commissione europea di sanzionare economicamente l’Ungheria, in realtà Bruxelles ha già congegnato un compromesso che preserva la Polonia e che consente all’autocrate di cavarsela anche stavolta. Questo martedì il governo ungherese ha chiesto «tolleranza». Se la «tolleranza» verso il miglior amico europeo di Vladimir Putin non fosse abbastanza, a quel punto sarà determinante il ruolo dei governi. «Anche se la Commissione dovesse mantenere una posizione critica verso l’Ungheria, non c’è alcuna garanzia che il Consiglio la avalli, e lo dico considerando alcuni meccanismi di supporto reciproco e l’esito delle elezioni italiane», spiega Hegedus che come analista si occupa di Europa centrorientale per il German Marshall Fund. «In conclusione, ci sono buone possibilità che Orbán sfugga anche stavolta alla punizione».

Un momento decisivo

Il modello orbaniano si regge sulla gestione del potere – sia politico che economico – da parte della cerchia del premier, e la spartizione dei fondi europei ha foraggiato finora questo tipo di sistema. A incrinarlo, in Ue, non è stata la Commissione, né i governi, visto che Varsavia e Budapest hanno sempre fatto blocco arginando la procedura dell’articolo 7. È stato l’Europarlamento, che non si è limitato a denunciare le derive ungheresi con insistenza, quattro anni fa con il rapporto Sargentini, e ancora pochi giorni fa. È riuscito a far sì che si prendesse di mira la leva del modello orbaniano, e cioè la gestione dei soldi: in una continua opera controcorrente rispetto a Commissione e governi, il parlamento Ue dell’èra Sassoli ha ottenuto di condizionare almeno in parte i fondi europei al rispetto dello stato di diritto. E siccome Ursula von der Leyen ha aspettato le elezioni ungheresi per innescarlo, seguendo un compromesso ereditato da Merkel, gli eurodeputati hanno attivamente protestato.

Ora siamo in un frangente decisivo. La Commissione ha concordato col governo ungherese 17 misure, che l’esecutivo Orbán deve realizzare entro metà novembre, altrimenti Bruxelles chiederà al Consiglio – ai governi – di congelare a Budapest circa sette miliardi e mezzo di euro. Nel frattempo la Commissione da tempo sta negoziando con il governo ungherese anche il via libera al piano di Recovery, e l’attuazione delle 17 misure darà la spinta anche a questo.

La trappola pro Orbán

Ci sono alcune indicazioni concrete che il governo ungherese la farà franca e incasserà i soldi. L’eurodeputato verde Daniel Freund, che è l’erede di Judith Sargentini come fustigatore di Orbán, spiega che «la Commissione ha scelto di utilizzare solo in parte il meccanismo a disposizione: c’è una lunga lista di problemi, che vanno dalla libertà dei media all’indipendenza dei giudici, e che riguardano lo stato di diritto, ma Bruxelles fa leva solo sulla corruzione».

Eppure, come i cronisti hanno fatto notare al commissario Ue Johannes Hahn, serve a poco che Orbán intraprenda iniziative simboliche contro la corruzione, se poi è lui a controllare il sistema giudiziario. Hahn ha risposto che «non siamo intervenuti sull’indipendenza dei giudici», facendo intendere che se lo avesse fatto, Bruxelles avrebbe dovuto attivare il meccanismo anche contro la Polonia. E non intende farlo: questo è un primo punto che facilita le cose a Orbán.

Le misure concordate con la Commissione, inoltre, «sono necessarie ma insufficienti, e facilmente aggirabili», dice Freund. Le nuove procedure previste per le gare d’appalto «possono essere schivate con offerte fake». L’Ungheria tuttora non aderisce alla procura europea, e nell’accordo Bruxelles su questo non ha preteso nulla. Con ogni probabilità Orbán avvierà, le 17 misure, ma resteranno una facciata.

Riforme fake quanto basta per far decadere il blocco dei fondi. Ma se così non fosse, e il caso dovesse finire in Consiglio a fine anno, a quel punto un governo italiano compiacente potrà «generare dinamiche favorevoli», come dice Halmai. Lega e Fratelli d’Italia all’Europarlamento continuano a spalleggiare Orbán, così come gli ultraconservatori polacchi del Pis. All’ultimo voto in aula, i conservatori europei – FdI e Pis, quindi – hanno difeso in blocco Orbán, a dimostrazione che certi sodalizi hanno la meglio su ogni imbarazzo.

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