Quando questa settimana è stata pubblicata la notizia dell’inserimento di Kaja Kallas, prima ministra estone, nella lista dei ricercati dal ministero dell’Interno russo, gli attestati di solidarietà per la “lady di ferro” dell’Estonia sono piovuti da tutta Europa. «Puoi considerare questo attestato come una medaglia», ha detto il presidente del Consiglio Ue Charles Michel. «La Spagna e tutta l’Europa sono con te», gli ha fatto eco il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez.

Il Cremlino accusano Kallas di aver attaccato la memoria storia della Russia per aver deciso la rimozione di oltre 400 monumenti dedicati all’Armata rossa e alla liberazione dall’occupazione nazista dell’Estonia. Insieme a Kallas sono finiti nella lista dei ricercati anche politici di tutti e tre i paesi baltici, della Polonia e dell’Ucraina. Kallas è di gran lunga il politico di più alto profilo presente nella lista.

Perché l’Estonia

Non capita tutti i giorni che un capo di governo venga inserito in una lista di ricercati. Con le tensioni intorno ai paesi baltici in aumento e con le conseguenze imprevedibili di una vittoria di Donald Trump alle elezioni americane di novembre, la notizia ha alimentato i timori di una possibile escalation militare sul fianco della Nato nel prossimo futuro.

Il più settentrionale e meno popolato dei tre paesi baltici è considerato spesso un potenziale vittima di una futura aggressione russa. Questa settimana, il ministro degli Esteri estone ha detto che il paese ha al massimo tre o quattro anni per prepararsi: la Russia, sostiene, è pronta a mettere alla prova la solidità della Nato con un’invasione del paese.

Diversi esperti invitano alla cautela. Secondo Anthony Lawrence, direttore del dipartimento difesa dell’Icds, un centro studi basato nella capitale estone Tallinn, non ci sarebbero collegamenti stringenti tra i potenziali sviluppi militari e l’inserimento di Kallas nella lista dei ricercati.

«Si tratta di una tattica standard di intimidazione usata dalla Russia», dice. Un tentativo di «punire e gettare discredito su una leader che è stata tra i più forti e visibili sostenitori dell’Ucraina». Il suo impatto sarà con ogni probabilità minimo: «Non influenzerà né Kallas né altri leader occidentali».

L’Estonia è un paese piccolo, appena 1,3 milioni di abitanti, e ha forze armate di ridotte dimensioni, privo di una vera e propria aviazione da guerra e senza moderne difese antiaeree. Ma con la coscrizione obbligatoria e una riserva nazionale che include buona parte della popolazione è comunque pronta a difendersi.

Il suo territorio è considerato il più difendibile dei tre paesi baltici, punteggiato com’è da paludi e foreste e con poche strade facili da difendere che dal confine portano verso la capitale Tallinn. Proprio in questi giorni, i media estoni hanno dato nuova rilevanza allo sforzo di fortificare il confine con la Russia, tramite la costruzione di una rete di seicento bunker di cemento.

Gli esperti come Lawrence, però, non ritengono che il rafforzamento delle difese sia collegato con la lista dei ricercati. «Lo sforzo di fortificare il confine e aumentare la capacità estone di deterrenza prosegue da anni», dice. La domanda del perché il Cremlino abbia deciso di inserire nella lista Kallas e gli altri proprio ora, rimane quindi aperta.

Lo scoop

L'elemento più strano dell’intera vicenda è proprio il modo in cui è emersa. Non con un annuncio solenne del Cremlino o del ministero dell’Interno, ma tramite lo scoop del sito indipendente russo Mediazona. I giornalisti, infatti, hanno scoperto un modo di accedere via internet alla lista dei “ricercati” e ha sviluppato uno strumento di ricerca per analizzare i circa 100mila nomi presenti. Secondo Mediazona è probabile che i nomi di Kallas e degli altri politici europei siano stati inseriti mesi fa.

Anche la reazione russa è stata singolare. Una volta uscita sui media occidentali, la notizia è stata riportata dall’agenzia di stampa ufficiale Tass e, in risposta alle domande dei giornalisti, anche dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che ha confermato anche le ragioni per l’inserimento di Kallas e gli altri nella lista, vale a dire l’attacco alla “memoria storica” della Russia.

Toni più coloriti nel descrivere la vicenda sono stati utilizzati dalla portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, nota per le sue dichiarazioni incendiarie, soprattutto se paragonate a quelle solitamente più compassate del suo superiore, il ministro Sergei Lavrov: «Questo è solo l’inizio», ha scritto Zakharova sul suo suo personale canale Telegram. Oltre a queste uscite, dal Cremlino e dai suoi organi di propaganda è arrivato solo un curioso silenzio.

Il caso ricorda un altro episodio avvenuto in Estonia poche settimane fa: l’arresto con l’accusa di spionaggio del professore dell’università di Tartu Viacheslav Morozov, un cittadino russo che insegna nel paese dal 2010. Come ha rilevato il sito di analisi dei media russi Propastop, la reazione della propaganda russa è stata particolare.

Alcuni siti e canali Telegram hanno utilizzato l’episodio per accusare di russofobia il governo estone, sfruttando il consueto argomento della supposta oppressione delle minoranze russofone all’estero, uno dei fattori che alimentano i timori di un attacco contro i paesi baltici. Il caso però è stato ignorato dai principali media russi e dalle autorità di Mosca. Nemmeno i media specificatamente creati per rivolgersi alla minoranza russa che vive nel paese hanno cavalcato la vicenda.

Nazionalismo ma non troppo

La situazione è paradossale. Al tintinnio di sciabole, in genere poco convinto, segue regolarmente il silenzio. Sembra quasi che se, da un lato, il Cremlino non possa lasciare senza risposta gli attacchi, reali o percepiti, alla memoria della Seconda guerra mondiale o ai “compatrioti all’estero”, i cittadini russi e russofoni che vivono in paesi come Estonia, dall’altro non voglia nemmeno portare a fondo i suoi attacchi, né trasformarli in un argomento di discussione sui media nazionali.

Una cosa è la strategia comunicativa perseguita dal Cremlino, “nessun nemico a destra”, tutta orientata a promuovere il nazionalismo e i valori tradizionali. Un altro è metterla in pratica seriamente. Putin al momento può fare poco contro i paesi baltici e gli altri paesi europei. Le relazioni diplomatiche sono già al minimo e le sanzioni sono in vigore da entrambi i lati del confine, mentre le opzioni militari per il momento sono fuori discussione e lo resteranno almeno fino a quando oltre il 90 per cento delle forze di terra russe resterà impegnato in Ucraina.

Questo significa che suonare i tamburi di guerra e spingere sulla gravità delle “offese” subite dall’onore russo all’estero rischia soltanto di rendere ancora più palese l’impotenza del Cremlino. Il che a sua volta può finire con l’alimentare quei circoli ultra nazionalisti che lo stesso Putin non considera necessariamente suoi alleati, come hanno dimostrato l’arresto e la condanna dei membri più attivi di questi gruppi, come il superfalco ed ex ufficiale dell’intelligence Igor Girkin.

Secondo molti analisti, il Cremlino teme i politici liberali in esilio e le manifestazioni di piazza almeno quanto è preoccupato dai super patrioti e i loro legami con forze di sicurezza e con l’esercito. Un timore niente affatto campato in aria, come ha dimostrato la scorsa estate l’ammutinamento del leader di Wagner Evgenij Prigožin e la reazione, non esattamente determinata, delle forze armate al suo colpo di mano.

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