Il Marocco ha battuto il Portogallo e andrà in semifinale ai Mondiali di calcio del 2022. Per la prima volta da quando all’Africa è assegnato più di un posto tra le partecipanti al mondiale, tutte le nazionali africane qualificate si sono presentate ai nastri di partenza con tecnici originari del continente. C’è di più: ognuno di questi allenatori siede sulla panchina della nazionale del proprio paese di origine o del paese di origine dei propri genitori.

Questo dato potrebbe essere sfuggito agli occhi di molte persone in Italia, un paese che non vede un allenatore straniero alla guida della propria nazionale dal 1967, quando l’argentino Helenio Herrera smise di affiancare Ferruccio Valcareggi. Non è sfuggito agli occhi degli africani stessi che si vedono finalmente rappresentati anche in panchina.

Pescare all’estero

Otto Addo, allenatore del Ghana (Kyodo via AP Images)

La maggior parte delle federazioni africane era infatti solita dare priorità a tecnici occidentali, guardando più alla carriera da calciatore e alla provenienza geografica che alla loro effettiva competenza. Ciò non significa che un allenatore non africano non possa allenare in Africa.

Di esempi vincenti, per risultati e lascito calcistico, ce ne sono diversi. Ultimo, in ordine cronologico, quello del ct francese dell’Arabia Saudita Hervé Renard, che ha vinto la Coppa d’Africa con Zambia e Costa d’Avorio e ha riportato il Marocco ai Mondiali dopo vent’anni nel 2018.

Il punto è un altro: perché i colleghi africani, in particolare quelli dell’Africa subsahariana, non sono o non vengono considerati alla pari?

Calcio pericoloso

Foto Sebastian EL-SAQQA/picture-alliance/dpa/AP Images

Benché il calcio, portato dagli europei durante l’epoca coloniale, fosse diventato ben presto l’attività sportiva preponderante delle popolazioni africane, era inizialmente uno svago appannaggio di ristrette élite occidentali.

Le autorità coloniali temevano che il calcio potesse fungere, come poi accadrà in molti paesi, da canale di affermazione delle identità nazionali africane e di diffusione del sentimento anti coloniale. Il timore era talmente elevato che le suddette autorità vietavano la disputa di amichevoli tra squadre locali e quelle rappresentanti le comunità europee per evitare di rimettere in discussione l’ordine stabilito tra dominati e dominatori in caso di successo delle formazioni autoctone.

Questa segregazione razziale ha rallentato anche la crescita degli allenatori fino ad almeno le decadi della decolonizzazione e ha nutrito quel complesso di inferiorità inculcato dai colonizzatori nelle menti delle popolazioni sottomesse di cui ancora la gran parte del continente soffre. Sin dall’inizio della tratta degli schiavi nel Cinquecento, per esigenze di dominio, i bianchi hanno deumanizzato lo schiavo nero costringendolo a disprezzarsi.

Le conseguenze di secoli di torture psicologiche non hanno risparmiato il settore calcistico. I tecnici africani sono stati spesso scartati perché i loro stessi connazionali giudicavano le loro capacità non paragonabili a quelle di un collega occidentale. Va da sé che questa visione discriminatoria influenza ancora oggi l’analisi che in Europa si fa degli allenatori africani, ritenuti naturalmente meno preparati.

La svolta

Walid Regragui, allenatore del Marocco (Ap)

Solo recentemente è stato nominato il primo allenatore africano nero nella storia del calcio professionistico italiano. È il senegalese Diaw Doudou, che a inizio novembre ha preso le redini della Fidelis Andria in Serie C.

Si tratta di un timido segnale di un’inversione di tendenza che è già palese da qualche anno nel continente africano. Le ultime due Coppe d’Africa sono state vinte da tecnici africani e nell’edizione 2021 i ct originari del continente erano 16 su 24.

L’ultimo vincitore, Aliou Cissé, è stato il primo ct intorno a cui una federazione ha costruito un progetto a lungo termine. È in carica dal 2015 e con il Senegal ha centrato due qualificazioni consecutive ai mondiali, offrendo solidità a una nazionale piena di potenziale ma storicamente poco concreta.

La bontà del suo lavoro ha spinto molte altre federazioni a puntare su allenatori autoctoni. Così si spiegano Jalel Kadri ct della Tunisia, Otto Addo del Ghana, Rigobert Song del Camerun e Walid Regragui del Marocco.

Tutti loro hanno potuto acquisire esperienza solo attraverso una reale opportunità. E tutti loro hanno risposto offrendo la miglior prestazione complessiva del continente africano in una fase a gironi dei mondiali: 24 punti, sette vittorie (di cui tre contro Belgio, Francia e Brasile) e due squadre agli ottavi di finale.

Il Senegal affronterà l’Inghilterra. Il Marocco, che con sette punti e il primo posto in classifica ha stabilito il record per una africana nella fase a gironi, se la vedrà con la Spagna. Nella conferenza successiva all’ultima gara il ct marocchino Regragui ha dichiarato che ci teneva a dimostrare che l’Africa può produrre anche buoni allenatori. «Siamo solo agli ottavi di finale, però, non abbiamo ancora fatto niente», ha puntualizzato, lasciando intendere che la rinnovata ambizione delle nazionali africane passa dall’emancipazione degli allenatori locali.

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