Fioraio, tupamaro, prigioniero politico, tessitore di alleanze a sinistra fino alla presidenza dell’Uruguay, infine coscienza critica del mondo; le molte vite del Pepe, José Mujíca.

È già da un paio d’anni presidente dell’Uruguay – il più tranquillo angolo d’America, con la popolazione della Toscana – e non è abituato ai media internazionali. Poi arriva la Cnn e Pepe Mujíca buca lo schermo, e da allora è perseguitato da 50 richieste a settimana di interviste da tutto il mondo, senza che la notorietà lo cambi.

Nato il 20 maggio 1935 nella periferia di Montevideo, quasi campagna, si è spento alla soglia dei 90 anni dopo una lunga malattia. Ha vissuto fino alla fine in una chacra – masseria – col pavimento di terra, bevendo mate insieme a Lucía Topolansky, compagna di lotta e amore di una vita.

Parla con il linguaggio popolaresco dei Tupamaros e, per le sinistre di tutto il mondo, alla ricerca di un’alternativa a un’epistemologia novecentesca collassata, diventa una sorta di illuminato.

«Non sono povero, sono sobrio, viaggio con un bagaglio leggero, vivo con quel tanto che basta perché le cose non mi rubino la libertà». Prima di diventare il “presidente più povero del mondo”, passa da contadino a guerrigliero, da prigioniero politico a parlamentare naif che si muove in Vespa fino alla presidenza della Repubblica nel 2009, alla già bella età di 75 anni.

Papà basco, madre ligure, piccoli coltivatori entrambi del Partito Blanco che combatte il Partito Colorado dal tempo di Garibaldi (che riporta dal Río de la Plata la camicia rossa dei Mille), la politica è nella vita del Pepe fin da ragazzo. Nel 1958 un amico di famiglia, Enrique Erro, diventa ministro del lavoro, e lo vuole come portaborse. Dura poco: Erro esce dai Blancos da sinistra e Mujíca scopre la rivoluzione cubana e la mitologia guerrigliera.

E così nasce il Movimento di liberazione nazionale – Tupamaros, marciando a piedi da Artigas fino a Montevideo con i lavoratori semi-schiavi della canna da zucchero, organizzati dal leggendario sindacalista socialista Raúl Sendic, con Eleuterio Fernández Huidobro, il drammaturgo Mauricio Rosencof e il nostro Pepe Mujíca.

La guerriglia urbana

Dal 1964 entra in clandestinità e vive appieno l’epopea tupamara, una guerriglia antimperialista non marxista, con tratti libertari, che il segretario del Partito Comunista, Rodney Arismendi, liquida come «infantilismo di sinistra», ma che conquista la generazione del Sessantotto praticando la “guerriglia urbana”.

«Appartengo a una generazione che voleva cambiare il mondo, schiacciata, sconfitta, polverizzata, ma continuo a sognare che le persone possano vivere meglio e con più uguaglianza».

Nella guerriglia Pepe viene colpito da almeno sei pallottole, catturato tre volte, evaso due, in un paese dove le lotte sindacali portano, a Tupamaros militarmente sconfitti, al golpe del giugno del 1973. La dittatura dura fino al 1985 e i dirigenti tupa la vivono in condizioni atroci, in celle minuscole o in pozzi con l’acqua fino al ginocchio. Esce l’8 marzo del 1985, due mesi prima di compiere 50 anni, amnistiato senza essere mai stato processato. Ritrova Lucia che viene dal carcere femminile di Punta Rieles.

«Sono stato 14 anni in galera. La prima notte in cui ho dormito su un materasso ho capito che se non sei felice con poco non sarai felice neanche con tanto».

Addio alle armi

In libertà Mujíca torna a vendere fiori e, a nome dell’MLN-T, rinuncia alla lotta armata. Riconosce di avere usato la violenza senza un vero programma politico, ma come risposta alla violenza del modello capitalista e degli apparati repressivi dello Stato. Chi offre sponda all’MLN è il Frente Amplio, la coalizione di forze democratiche e di sinistra che nel 1971 i Tupa avevano disdegnato, pensando che la via fosse quella armata. È un dibattito asperrimo che dura quattro anni, ma Mujíca finisce per adottare un discorso socialdemocratico riconoscendo il Frente Amplio come sintesi di tutte le istanze del popolo uruguayano. Nasce così il Movimento di Partecipazione Popolare (MPP), che riunisce la sinistra radicale e col tempo diventa la prima forza del Frente Amplio.

Nel 1994 è deputato: «Entro in parlamento da fioraio», afferma. Nel 1999, da senatore, così si tratteggia al settimanale Brecha: «Pepe Mujica è un anziano, che è stato in prigione tanti anni, con tante pallottole nel corpo. È un ragazzo che ha commesso molti errori, come tutta la sua generazione, e che cerca di essere coerente con sé stesso, felice di rappresentare chi non c’è e dovrebbe esserci».

Rinuncia al 90 per cento del suo stipendio parlamentare negli anni del neoliberismo realizzato, e per vivere continua a vendere fiori. Comincia a essere identificato come un coerente che sintetizza gli equilibri del Frente Amplio. Lui sfuma il classismo storico e porta l’Mpp a far guardare a sinistra i piccoli agricoltori e allevatori dell’interno del paese, ridotti allo stremo dal modello agroindustriale.

Nel 2004 la sinistra trionfa con l’oncologo socialista Tabaré Vázquez e Pepe Mujíca è ministro dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca. È un ministero che vale l’80 per cento dell’export del paese.

Nel 2007 gli tocca ricevere a Montevideo George Bush mentre tutti i suoi protestano. «Se non fossi ministro starei con voi, non cambio idea, ma il mio mestiere adesso è vendergli la nostra carne». E ci riesce, anche perché quell’America Latina che è già dei Lula, dei Kirchner, Evo Morales, Hugo Chávez, a George Bush sa tener testa.

Così quello che negli anni Novanta anche a sinistra si considerava un fenomeno folkloristico, diviene nel 2009 il candidato naturale alla presidenza della Repubblica, rompendo una mentalità piccolo-borghese parte della storia politica e sociale uruguayana.

Da presidente non dismette il linguaggio colloquiale e delega molto. Così scioglie nodi come l’aborto, i matrimoni egualitari, la marihuana di Stato. Poi, di punto in bianco, diventa suo malgrado una rock star, e passa gli ultimi anni a raccontarsi e a militare fino a che, già malatissimo, a fine 2024 accompagna il suo erede Yamandú Orsi fino alla presidenza. Per lui, nella chacra con Lucía, ha avuto tutto quello che sognava.

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