Secondo quanto denunciato da un amministratore scolastico e da operatori umanitari l’esercito del Myanmar avrebbe bombardato con gli elicotteri militari un edificio scolastico a Tabayin, nella regione centro-settentrionale di Sagaing, causando la morte di 13 persone.

Secondo l’Unicef sono almeno undici i bambini rimasti uccisi nell’attacco aereo avvenuto lo scorso 16 settembre. L’agenzia delle Nazioni unite ha espresso solidarietà alle famiglie delle vittime e ha riferito che almeno altri 15 bambini dello stesso istituto scolastico risultano ancora scomparsi. Si tratta di uno degli attacchi peggiori commessi dalla giunta militare da quando ha ripreso in mano il potere un anno e mezzo fa.

Nella scuola si trovavano circa 240 bambini. Dopo l’attacco, diversi testimoni hanno raccontato che sono arrivati 80 soldati che hanno caricato i cadaveri negli elicotteri e attaccato diverse persone. 

La giunta militare

Nel febbraio del 2021 la giunta militare birmana ha eseguito un golpe militare spodestando il governo retto dal premio Nobel per la pace del 1991 Aung San Suu Kyi. Da mesi di proteste popolari, le Forze armate hanno intensificato gli attacchi contro milizie etniche e i ribelli in diverse aree del paese. Una delle città prese maggiormente di mira da parte dei soldati birmani è proprio Saigang dove villaggi interi sono stati dati alle fiamme causando circa mezzo milione di sfollati.

Secondo un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) la giunta militare commette abusi e torture contro i prigionieri politici. Finora oltre 2.200 persone sono rimaste uccise negli scontri tra le forze governative e i ribelli, mentre sono oltre 15 mila le persone detenute.

Nel rapporto vengono raccontati i casi di sei attivisti arrestati tra maggio e luglio scorsi e deceduti in un secondo momento. «Le sei morti documentate da Human Rights Watch sono solo la punta dell’iceberg della sofferenza e della tortura di quanti sono stati arrestati dalle forze armate e dalla polizia birmana», ha detto Manny Maung, un ricercatore di Hrw. «Data la crudeltà esibita dalla giunta in ogni aspetto del suo dominio, non sorprende che nessuna azione sia stata intrapresa per indagare le morti in custodia (dei sei attivisti) e assicurare i responsabili alla giustizia», ha aggiunto.

Nel frattempo l’inviata speciale delle Nazioni Unite in Myanmar, Noeleen Heyzer, ha detto che non tornerà nel paese finché non le sarà consentito di incontrare la leader Aung San Suu Kyi (77 anni) che attualmente si trova in carcere dove sta affrontando diverse accuse dalla violazione della legge sull’import dei prodotti alla corruzione. Per alcuni si trattano di accuse false ma che vengono usate dai militari per giustificare il golpe. Un tribunale militare l’ha condannata a tre anni di carcere e ai lavori forzati con l’accusa di frode elettorale, mentre altre sentenze le hanno inflitto 17 anni di reclusione per altri capi d’accusa.

«Se visiterò di nuovo il Myanmar, sarà solo per incontrare Aung San Suu Kyi», ha detto la diplomatica lo scorso 5 settembre durante un evento organizzato a Singapore dall’Ishak Institute. Heyzer ha anche avuto un incontro con i vertici militari ai quali ha chiesto di trovare una soluzione pacifica ma senza successo.

Crisi umanitaria

Il governo del Bangladesh è preoccupato che la repressione militare possa aumentare la crisi umanitaria e verificarsi un esodo umano come quello del 2017 quando milioni di birmani sono stati costretti a lasciare il paese in cerca di rifugio. Nel Bangladesh, infatti, risiedono circa un milione di profughi rohingya di religione mussulmana e si trovano all’interno di campi profughi gestiti da associazioni e ong.

Il governo bengalese ha già provato più volte a rimpatriarli negli ultimi cinque anni ma senza ottenere successo. Il ministro dell’Interno ha intenzione di invocare un intervento più incisivo delle Nazioni unite: «Condanniamo le attività del Myanmar nei pressi del confine», ha detto il ministro.

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