I giovani contro la corruzione hanno buttato giù il governo: morti tra i manifestanti. Intanto l’esercito assume il controllo del paese e presidia le strade della capitale e delle città più importanti
«Questa è la nostra rivoluzione, vogliamo vedere la generazione Z nel prossimo governo. Questa è una vendetta, la conseguenza dell’omicidio a sangue freddo di cittadini nepalesi». Così Rakshya Bam, tra i protagonisti del movimento che ha buttato giù con una rivolta la coalizione di forze di sinistra alla guida del paese himalayano stretto tra India e Cina. La giovane ha aggiunto che «le dimissioni sono soltanto il primo passo e non tollereremo alcuna influenza o coinvolgimento dell’attuale classe dirigente».
Intanto però, dopo i disordini divampati violentissimi martedì, ieri il controllo della situazione l’ha assunto l’esercito, che presidia le principali strade della capitale e delle maggiori città. E i ragazzi della generazione Z hanno capito che ora il pericolo principale non è più la corruzione, endemica, o la chiusura dei social media, all’origine della sommossa, ma un colpo di stato dei militari.
Martedì sera erano arrivate le dimissioni di Sharma Oli, il settantatreenne premier del Partito comunista nepalese, al potere da quattro mandati. Da quando, l’anno scorso, Oli aveva iniziato l’ultimo, il malcontento per l’instabilità politica, la corruzione e la stagnazione economica, non aveva fatto che aumentare. Il Nepal è una nazione giovane: secondo le statistiche ufficiali, le persone tra i 15 e i 40 anni sono quasi il 43 percento della popolazione, mentre il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 10 per cento e il prodotto interno lordo pro capite è di appena 1.447 dollari statunitensi (dati Banca Mondiale).
Democrazia hackerata
A dare il la alla protesta erano stati decine di giornalisti, che domenica a Kathmandu erano scesi in strada sventolando cartelli con slogan come «niente blocco dei social network», «la libertà di espressione è un nostro diritto» e «democrazia hackerata, ritorno dell’autoritarismo».
La generazione Z era scesa in piazza in massa lunedì, provando ad assaltare il parlamento per protestare contro la corruzione e l’oscuramento dei social media. Una mossa tardiva e controproducente quella del governo. I video, diventati virali, che mettono a confronto con dati e immagini inequivocabili le difficoltà della gente comune che fa fatica a sbarcare il lunario con quelle dei figli dei politici che ostentano beni e vacanze di lusso, erano già stati condivisi milioni di volte.
Tra l’altro, censurati Facebook, Twitter e altre piattaforme, sono ricomparsi su TikTok, che resta accessibile a tutti. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui dimostranti, uccidendone almeno 19, molti colpiti alla testa e al petto dalle pallottole degli agenti. I disordini sono scoppiati non solo a Kathmandu, ma anche nella città orientale di Itahari, dove i morti registrati sono due.
Il massacro ha suscitato l’ira del movimento che, l’altro ieri, ha dato l’assalto ai palazzi del potere e alle dimore dei politici, tra cui quella di Oli. Sono stati dati alle fiamme il parlamento, il Singha Durbar, sede dell’esecutivo, la corte suprema e gli uffici di Kantipur, uno dei maggiori gruppi mediatici nepalesi. I video circolati sui social mostrano il leader del Nepali Congress, Sher Bahadur Deuba, con il volto insanguinato dopo essere stato aggredito dai manifestanti. Sua moglie, la ministra degli Esteri Arzu Rana Deuba, presa a pugni e calci, mentre il ministro delle finanze è stato inseguito da una folla inferocita per strada. E perfino il ministro delle finanze spogliato e inseguito in un fiume da un gruppo di manifestanti.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato «alla moderazione per evitare un’ulteriore escalation di violenza». Il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha affermato che «la stabilità, la pace e la prosperità del Nepal sono di massima importanza per noi».
Dopo che il presidente della Repubblica, Ram Chandra Paudel, ha chiesto un confronto con il movimento - sostenendo che in una democrazia le richieste dei cittadini possono essere affrontate attraverso il dialogo, per scongiurare nuove violenze potrebbe essere scelto un volto nuovo da mettere a capo di un governo ad interim - senza sciogliere il parlamento - per venire incontro in qualche modo alle richieste della piazza. Ma non sarà affatto facile.
L’altro ieri Rabi Lamichhane, ex ministro dell’Interno e leader del Partito Nazionale Indipendente – considerato una forza politica alternativa – è stato rilasciato dal carcere. Lamichhane è una figura molto popolare e ha espresso pubblicamente solidarietà al movimento. L’ala più radicale però non lo vuole. «È stato giudicato e condannato in tribunale ed è finito in galera per le azioni illecite che ha commesso, compresa la corruzione», ha dichiarato un manifestante che ha chiesto di restare anonimo.
«Il nostro movimento, incentrato sull’eliminazione della corruzione, non sostiene un ex rappresentante governativo corrotto». Ma l’ipotesi alternativa sembra peggiore: un governo dei militari “legittimato” dall’ok del presidente Paudel.
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