Se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rinviato per ore e giorni un nuovo voto sul dossier mediorientale, è perché diventa sempre più difficile persino per gli Stati Uniti, e per i falchi nell’Ue, spalleggiare il governo Netanyahu.

Dunque ecco la diplomazia che media, dal «cessate il fuoco» alla «sospensione delle ostilità», con la Francia per lo stop alle bombe, il Regno Unito che ora chiede attacchi «mirati», e un Joe Biden sempre più sotto pressione: il sostegno al governo israeliano – dicono i sondaggi – può costargli l’America nel 2024.

Anche i falchi vacillano, ed è per questo che questo martedì Isaac Herzog, il presidente della Repubblica israeliano, ha detto che il suo paese «è pronto per un'altra pausa umanitaria e ulteriori aiuti per consentire il rilascio degli ostaggi». Nelle stesse ore però il ministro della Difesa parlava di «espandere l’operazione via terra»: cambiare gli equilibri resta difficile.

L’opinione che slitta

Lo scetticismo cresce sia negli Usa che in Israele. Lo slittamento è dovuto al fatto che «le condizioni stesse sulle quali l’intervento si basa svaniscono»; le condizioni sono «un chiaro scopo per la guerra, e l’idea che la vittoria sia raggiungibile».

Le responsabilità nel non aver impedito l’attacco del 7 ottobre sono state inizialmente schivate dal premier con un rinvio – e il leitmotiv «bisogna parlarne ma dopo la guerra» – ma ciò non è bastato a congelare le perplessità.

Già a metà ottobre il gradimento verso Netanyahu pareva aver toccato il fondo, dando slancio al consenso per Benny Gantz. A novembre la stragrande maggioranza degli israeliani – tre su quattro – avrebbe voluto che il premier si facesse da parte.

I sondaggi più recenti non fanno che accentuare la tendenza, con Gantz favorito in caso di elezioni. L’uccisione dei tre ostaggi israeliani da parte delle forze armate israeliane stesse non fa che esasperare lo scollamento, oltre che la frustrazione delle famiglie dei rapiti: «Si è trattato di un’esecuzione», ha detto Avi Shamriz, padre di uno dei tre ostaggi uccisi dal fuoco amico.

Boomerang per Biden

Il moto contrario dell’opinione pubblica si sta rivoltando anche contro il più solido alleato del governo israeliano, il democratico Joe Biden in cerca di riconferma alle presidenziali 2024.

Una settimana fa, intervenendo a un evento di finanziamento per la propria campagna elettorale, il presidente aveva dichiarato che «Israele ha l’Europa, ha la maggior parte del mondo che la sostiene, ma sta iniziando a perdere quel sostegno a causa dei bombardamenti indiscriminati».

Adesso però il problema del sostegno che viene meno sta penetrando anche la Casa Bianca: è lo stesso Biden a pagare gli effetti delle proprie scelte.

I segnali c’erano già stati; a inizio novembre, i sondaggisti avevano rilevato che le comunità arabe e musulmane di area democratica stavano abbandonando il presidente in stati come il Michigan, nei quali questi voti sono determinanti. Un gruppo demografico chiave, in uno stato in bilico (swing state), è un fattore capace di fare la differenza.

Ma con Donald Trump che lo ha già sorpassato nei sondaggi, adesso la questione mediorientale sta diventando un problema sempre più ingombrante per Biden: questa settimana è iniziata con un sondaggio condotto da New York Times e Siena College, il quale certifica «l’ampia disapprovazione» da parte degli elettori riguardo al modo in cui il presidente sta gestendo il dossier. Solo tre americani su dieci ne sono soddisfatti.

Soprattutto i giovani sono critici verso le scelte del governo israeliano, e dell’amministrazione Usa nello spalleggiarlo. In generale l’opinione è polarizzata, tra chi biasima il presidente perché non interviene con sufficiente durezza, e chi vuole fermare le morti indiscriminate di civili.

L’ala dura favorisce Trump, mentre le colombe comportano la decomposizione del sostegno (e della coalizione) pro Biden. In sintesi, cattive notizie per il presidente.

Le mosse dei falchi europei

Fino all’ultimo il premier britannico ha rifiutato di attribuire al governo israeliano la responsabilità per la strage di civili in corso, e fino a venerdì scorso i governi europei sono rimasti talmente divisi sul dossier mediorientale da evitare di inserire nelle conclusioni del Consiglio europeo il tema.

Eppure anche l’Europa, i cui governi all’Onu erano andati sempre in ordine sparso quando si vota su Gaza, sta cambiando postura; i falchi adattano gradualmente le loro mosse.

Mentre paesi iberici, Irlanda e Belgio da subito invocano il cessate il fuoco, la dichiarazione dei ministri degli Esteri tedesca e britannico per un «cessate il fuoco sostenibile» costituisce una novità per questi due governi schierati con Israele.

Questo martedì David Cameron, volto Esteri del governo Sunak, ha chiesto «a Israele di ridurre al minimo le vittime civili, andando avanti contro Hamas con attacchi chirurgici».

Mentre l’Onu tiene il conto dei morti di Gaza, ormai circa 19mila, e il fuoco amico sugli ostaggi israeliani scuote Israele stessa, il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è smosso a seguito degli attacchi nelle chiese, invitando «il governo e l’esercito israeliano a prestare grande attenzione, non solo ai civili cristiani e alle chiese, ma a tutti i civili».
 

© Riproduzione riservata