Sono trascorsi 50 anni dalla morte di Kwame Nkrumah, il cantore dell’unità africana, ma anche 25 anni dalla fine del potere di Mobutu Sese Seko, il dittatore dello Zaire. Nulla sembra unire questi due leader d’Africa se non il destino di essere stati trattati molto diversamente in vita e dopo la scomparsa.

La parabola di Nkrumah è stata rapidissima e leggendaria al contempo: divenuto nel 1956 il primo leader nero del Ghana, primo paese africano indipendente, è stato considerato il profeta dell’unità del continente, colui che alle Nazioni Unite ha sentire – avvolto nella veste tradizionale gialla e viola – la voce della nuova Africa, libera e promotrice del non allineamento.

Come una folgore nel 1966 era già passato, scalzato da un colpo di stato, riparato all’estero, rapidamente dimenticato ma anche deriso come avviene spesso ai perdenti. Nessuno ha fatto il viaggio a Conakry, dov’era stato accolto, per incontrarlo durante i suoi anni di esilio. È morto solo e isolato a Bucarest nell’aprile del 1972, dopo un disperato viaggio dell’ultim’ora nel tentativo di salvarlo dalla malattia.

Il presidente impostore

Dal canto suo Mobutu era emerso fin dall’inizio come un presidente impostore, ambiguamente giunto al potere tra tradimenti (a dire il vero non solo suoi), scontri sanguinosi, tentavi secessionisti e stragi di civili. In quella fase iniziale della storia congolese aveva perso la vita Patrice Lumumba, il primo premier del Congo indipendente.

Tutto congiurava per marchiare di infamia il neo leader ma Mobutu era riuscito a crescere con il tempo fino a diventare una specie di “Cesare nero” rispettato in Africa e fuori: ha imposto lo stile dell’autenticità africana contro l’occidentalizzazione (come l’abacosà bas le costume – africano in sostituzione del completo giacca e cravatta), la musica e il ballo congolesi, l’africanizzazione della religione (favorendo i kimbanguisti contro i cattolici che hanno subito una dura repressione) così come dei nomi di luogo e di persona.

Malgrado la sua crudeltà e il suo autoritarismo, Mobutu ha saputo incarnare l’orgoglio nero riuscendo a imporsi come una figura politica di primo piano senza mai cadere nella trappola dello scontro bipolare. Giocando un’abile partita tra belgi, francesi e americani, si è giunti al punto che gli Usa hanno regalato allo Zaire una piccola centrale nucleare (rapidamente smontata e portata via dopo la caduta del presidente).

Il profeta fallito e il leopardo

Per paradosso della storia, mentre Nkrumah era un profeta fallito, Mobutu diveniva il “leopardo”, temuto e rispettato fino a poco prima della sua fine. Tanto Nkrumah è stato presto dimenticato, quanto Mobutu è riuscito a essere onnipresente e ha acceso le suggestioni degli africani, come nella notte di Kinshasa del 1974 con il mitico combattimento tra Mohammed Ali e George Foreman, abilmente voluto e ottenuto dal presidente.

Strani destini paralleli di questi due leader: il primo finito nell’oblio dopo aver fatto sorgere la speranza in tutto il continente; il secondo divenuto l’incarnazione dell’africanità dopo un inizio equivoco e un’evoluzione subdola. Idolo mutilato in vita il primo; svelato in tutta la sua immoralità solo dopo la fine il secondo.

Oggi la storia ha rimesso a posto il giudizio, giudicando severamente la cleptocrazia dello Zaire come uno dei regimi più corrotti e violenti del continente, mentre Nkrumah – malgrado i suoi ultimi anni di sospetto e paure – rimane una pietra miliare nel cammino dell’Africa verso l’unità e la dignità.

Entrambi sono stati costretti a navigare nel mondo obliquo della Guerra fredda. Nkrumah ha cercato i suoi appoggi anche a Mosca e a Pechino, finendo inviso al mondo occidentale dove pure si era formato. Mobutu ha saputo barcamenarsi tra gli ex colonizzatori belgi (che non amava), i francesi (che preferiva) e gli americani, senza mai perdere quella parte di autonomia che gli permise di gestire il paese in maniera assolutamente arbitraria.

West German Chancellor Helmut Schmidt, right, chats with Zaire's president Joseph Desire Mobutu Sese Seko prior to their official talks in the Chancellory in Bonn, West Germany, Thursday March 22, 1979. (AP Photo/Fritz Reiss)

È il caso della sua politica della cittadinanza con la quale offriva o toglieva l’appartenenza nazionale, gettando le basi della discriminazione, della polarizzazione e dell’odio etnico che ha dato luogo a innumerevoli massacri a est del paese, divenendo complice del genocidio del Ruanda del 1994.

Quello stesso tragico evento che ha travolto il piccolo paese dei Grandi laghi, ha abbattuto anche il regime del gigante Zaire sotto il peso di un’immensa ondata di profughi e delle truppe del fronte patriottico lanciate al loro inseguimento.

Lo Zaire è crollato improvvisamente nel 1997 quando nessuno se lo aspettava: era ancora considerato un paese forte e provvisto di un esercito potente. Tuttavia i reparti di kadogo (giovani reclute) dell’alleanza democratica di Desiré Kabila (un vecchio oppositore maoista richiamato in servizio da Nairobi dove era nascosto) sono riusciti in pochi mesi ad attraversare il continente da parte a parte, giungendo a Kinshasa quasi senza aver combattuto.

L’umiliazione suprema del vecchio leopardo è stata dover fuggire dal paese che considerava una sua personale proprietà. Anche il golpe contro Nkrumah è giunto come un fulmine a ciel sereno senza che nessuno ci credesse davvero. Nemmeno lo stesso Osagyefo (il “redentore” come veniva chiamato) ci ha creduto quando glielo hanno annunciato in Cina, dove stava compiendo una visita ufficiale.

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«Sei un uomo giovane – lo aveva rincuorato Ciù En-lai – hai ancora 40 anni di lotta davanti a te!». Ma Nkrumah non è mai riuscito a tornare a casa. Ha avuto la possibilità di riflettere sulla sua parabola politica dedicandovi molti libri, tra i quali anche Challenge of the Congo del 1968 dove trattava del nascente regime che per lui era tutto ciò che un leader africano doveva esecrare.

Dal canto suo, dopo 32 anni di potere, Mobutu – l’Aquila di Kawele come veniva soprannominato – non ha lasciato di scritto nulla di significativo se non i suoi discorsi pieni di vacuo orgoglio. Ma l’“autenticità africana” ha forgiato un intero popolo e lasciato un modello a tutto il continente che ancora resiste. Destini incrociati: uno dimenticato in vita e osannato dopo la morte; l’altro stimato per tutta l’esistenza e condannato con la scomparsa. Oggi il Ghana è uno dei paesi meglio gestiti d’Africa mentre il Congo ancora non si è liberato dei suoi demoni. 

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