C’è un sentimento paradossale in Israele in queste ore drammatiche. Se da una parte prevale l’unione e l’orgoglio nazionalista, dall’altra la società israeliana vive una contraddizione profonda tra quello che si può manifestare pubblicamente e quello che invece si racconta nell’intimità delle case, nel privato, dove lo sgomento verso quello che sta accadendo trova cittadinanza e non assolve del tutto il primo ministro e i rappresentanti del governo di Benjamin Netanyahu.

La parte più conservatrice del paese si sente forte più che mai delle proprie convinzioni. I terroristi di Hamas non hanno colpito le comunità ortodosse o i coloni, ma per lo più, cittadini progressisti e con una spiccata sensibilità verso la causa palestinese, basti pensare a tutti ragazzi uccisi durante il rave party.

Tra le comunità ortodosse religiose di Gerusalemme e Tel Aviv non sono in pochi a sottolinearlo, portando dalla propria parte quello che è accaduto per giustificare e avvalorare ancora di più la tendenza sempre più conservatrice che il premier israeliano ha sposato negli ultimi tempi. Tuttavia sono in molti oggi a ritenere alcuni dei componenti del governo di Netanyahu tra i principali responsabili di questa catastrofe.

Se ora non è il momento di discutere degli errori commessi da Israele, arriverà presto la resa dei conti. E ci sono nomi e cognomi. Il futuro non è scontato, per molti, quello che sta accadendo in queste ore decreterà la fine politica degli estremisti religiosi e politici dello Stato ebraico, già internamente molto criticati, circostanza che li rende pericolosi e disposti a tutto.

I falchi

Ma chi sono i falchi del primo ministro israeliano che rischia di giocarsi tutto? Chi sono, tra gli altri, i responsabili politici dell’allontanamento dal processo di pace? Una delle due personalità dominanti nel mondo religioso è quella di Itamar Ben Gvir, ministro incaricato alla sicurezza nazionale e considerato il nuovo mastino di Israele, già noto per l’appartenenza al gruppo radicale Kach e Kahane Chai, partito considerato come un’organizzazione terroristica dal governo israeliano, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Netanyahu per vincere le scorse elezioni si è affidato a lui per ottenere una risicata maggioranza alla Knesset, favorendo l’unione delle forze di estrema destra, in cambio Gvir è stato nominato Ministero della Sicurezza Nazionale, ovvero responsabile della polizia, a cui ha chiesto sin dal suo insediamento una politica di «tolleranza zero» verso le manifestazioni antigovernative e la popolazione araba.

Padre di cinque figli, Ben Gvir è stato incriminato più di cinquanta volte per incitamento all’odio e alla sommossa, teorizzando l’espulsione da Israele di tutti i cittadini arabi: la maggior parte delle accuse sono state però respinte in tribunale. Da Sderot, cittadina israeliana a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, nelle ultime ore ha annunciato che «la guerra dimostra che occorre distribuire armi ai cittadini, perché nel corso di un conflitto “non c’è destra, né sinistra, né religiosi né laici».

Il suo ministero ha annunciato l’acquisto di diecimila fucili per armare le squadre di sicurezza civile, composte in prevalenza da cittadini volontari, che operano nelle città israeliane al confine con Gaza, nelle città a etnia mista e negli insediamenti in Cisgiordania. Verranno distribuiti anche elmetti e fucili d’assalto.

«Ho dato istruzioni per armare massicciamente le squadre di sicurezza civile per fornire soluzioni alle città e per non lasciare le città senza protezione», ha dichiarato il ministro, come riporta il quotidiano Ynet . Ben Gvir per anni, da avvocato, è stato l’uomo di riferimento per gli estremisti ebrei e ha difeso anche gli associati al gruppo ultranazionalista Lehava, che considera impuri i matrimoni degli ebrei con gli estranei alla cultura e alla società giudaica.

Oggi le sue battaglie trovano linfa vitale nella tragedia degli attacchi di Hamas, anche se il falco dell’ultradestra israeliana ha dovuto fare un passo indietro rispetto all’allargamento al centro del governo, con lo stop al progetto della discussa riforma della giustizia finché sarà in corso la guerra.

Le prospettive

«David Ben-Gurion avrebbe dovuto finire il lavoro e cacciare tutti gli arabi da Israele quando è stato fondato. Il popolo palestinese è un’invenzione e non c’è alcun territorio da restituire». E ancora, «Sono un fascista omofobo» Parola di Bezalel Smotrich, ministro israeliano delle Finanze nonché ministro «aggiunto» alla Difesa con poteri speciali nella gestione dei Territori Palestinesi Occupati.

Avvocato, ebreo ortodosso, fervido sostenitore di uno stato teocratico, Smotrich è prima di ogni altra cosa un colono residente nell’insediamento illegale di Kedumim nella Cisgiordania settentrionale. Nel suo curriculum può vantare la detenzione nel 2005 per un fallito attentato incendiario durante le proteste contro lo smantellamento delle colonie ebraiche a Gaza.

Sono migliaia gli ettari confiscati ai palestinesi per la costruzione di imponenti strade a percorrenza veloce, giustificati dal ministro come «progetti stradali che hanno lo scopo di facilitare il movimento esclusivo dei coloni ebrei in Giudea e Samaria» Tradotto:opere che riducono drasticamente le già isolate aree abitate dai palestinesi.

Nel 2017 Smotrich aveva ben chiaro il destino del popolo palestinese nel suo «piano decisivo», proponendo tre opzioni: essere assorbiti in piccole comunità autogestite all’interno della grande Israele senza poter esercitare diritto di voto alle elezioni politiche, evacuare i territori a fronte di un obolo incentivante, e in ultimo un progetto drastico, ovvero: chi non si adatta, o se ne va o ne pagherà le conseguenze e dovrà affrontare l’esercito israeliano.

A detta dello stesso Smotrich, un piano che è frutto di una letterale interpretazione del biblico volere divino trasposto ai nostri giorni. Nelle ultime ore, alcuni familiari degli ostaggi di Hamas hanno dato vita a delle manifestazioni di protesta contro il governo. «Netanyahu traditore.» gridano.

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