Mai come questo mese la Liaoning si era spinta così lontano dalle coste della Cina per un’esercitazione. La prima portaerei di Pechino ha solcato le acque del mare delle Filippine a est di Taiwan e a sud delle isole giapponesi di Okinawa. Accompagnata da sette navi di scorta - nella maggiore formazione di combattimento mai messa in campo dalla marina cinese - la Liaoning è stata impegnata nelle ultime settimane in una serie di manovre, tra le quali 200 decolli e atterraggi in dieci giorni di caccia J-15 ed elicotteri Z-9 e Z-18 antisommergibile dal suo ponte di volo. Ad osservarla, il ministero della difesa nipponico ha spedito gli F-35, mentre nel mare delle Filippine si aggiravano anche le portaerei statunitensi Abraham Lincoln e Ronald Reagan, in un Pacifico occidentale che, con l’accresciuta assertività cinese e i relativi piani Usa per contenerla (l’ultimo è la Strategia indo-pacifica della Casa bianca), è diventato il principale oggetto del contendere geopolitico tra Pechino e Washington, sempre più affollato di mezzi militari. Le parole pronunciate lunedì a Tokyo dal presidente, Joe Biden, sono un segnale della tensione nell’indo-pacifico: gli Stati Uniti interverranno militarmente se la Cina tenterà di prendere Taiwan con la forza. La Cina, ha detto Biden, «sta scherzando con il fuoco».

Esercitazioni di scoraggiamento

La Liaoning venne costruita nei cantieri di Mykolaiv, venduta dall’Ucraina ai cinesi nel 1998, e rimessa a nuovo e varata dalla marina dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) nel 2012. Per i suoi limiti strutturali non riuscirà mai a battere il record di 975 sortite in 98 ore fatto registrare dalla Uss Carl Vinson. «Per intensità, paragonato all’addestramento di una portaerei statunitense, quello della Lianoning non è nulla», ha spiegato Zhou Chenming, ricercatore del think tank miliare pechinese Yuan Wang. 

Ma in una fase in cui i media locali hanno steso un pietoso velo di censura sulla disastrosa aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina la propaganda esalta quest’ultimo traguardo della marina. «Le esercitazioni della Liaoning hanno lo scopo di scoraggiare le forze secessioniste per la “indipendenza di Taiwan” e quelle che interferiscono dall’estero, come gli Stati Uniti e il Giappone», scrive il nazionalista Global Times.

L’area scelta per l’addestramento è tutt’altro che casuale: Pechino ha voluto dimostrare agli Stati uniti (che ad Okinawa hanno circa 30mila truppe), a Taipei (che lavora intensamente per un’internazionalizzazione della questione Taiwan) e a Tokyo (che negli ultimi mesi si è sempre più schierata con gli americani) di poter dispiegare una forza di combattimento autonoma distante dal continente.

Si avvicina dunque il momento in cui la Repubblica popolare cinese sarà in grado di utilizzare in maniera efficace la sua marina nel caso di un conflitto contro Taiwan o di un blocco navale per isolare quella che Pechino considera una provincia ribelle?

La direttrice dell’intelligence Usa, Avril Haines, ha dichiarato alla Commissione forze armate che «i cinesi stanno lavorando duramente per mettersi effettivamente in una posizione in cui le loro forze armate siano in grado di prendere Taiwan superando un nostro intervento». Molto più cauto il generale che dirige l’intelligence militare, Scott Barrier, secondo il quale «la Repubblica popolare preferirebbe non prendere il controllo di Taiwan con la forza, ma farlo pacificamente nel tempo».

Minaccia all’egemonia Usa

Foto AP

Come che sia, la flotta cinese - meno potente e tecnologica, e con capacità operative estremamente limitate rispetto a quella a stelle e strisce - ha già superato per unità attive (355 contro 300) la U.S. Navy, che però presidia tutti i mari del pianeta. Lo sforzo di Pechino invece è concentrato nel Pacifico occidentale.

Grazie all’ammodernamento della marina e alla copertura delle forze missilistiche dell’Epl, la Cina punta infatti a tenere lontani gli avversari dalla “Prima catene di isole” che comprende il mar cinese meridionale e il mar cinese orientale (sedi dei principali contenziosi territoriali con i vicini asiatici), e a rendere più pericolose le manovre degli Usa e dei loro alleati anche nella “Seconda catena di isole”, che include le Filippine e le basi militari statunitensi sull’Isola di Guam.

La modernizzazione della marina fu lanciata dal predecessore di Xi Jinping, Hu Jintao. Nell’aprile 2018 Xi ha ribadito che «il compito di costruire una potente marina non è mai stato così urgente». E il libro bianco sulla difesa della Cina del 2019 ha sottolineato ulteriormente la necessità di «costruire una forza navale forte e modernizzata in grado di svolgere missioni in mari lontani».

Due navi ogni tre mesi

Il parlamento statunitense nel marzo scorso ha pubblicato un rapporto intitolato “China Naval Modernization: Implications for U.S. Navy Capabilities—Background and Issues for Congress”. Il documento sostiene che si sia creata una situazione inedita dai tempi della Guerra fredda, con l’ammodernamento della marina di Pechino che pone ormai una minaccia diretta all’egemonia Usa nel teatro delle operazioni della VII Flotta Usa.

Anche perché i cantieri cinesi hanno la capacità di produrre due navi ogni tre mesi: di questo passo Pechino ne avrà 420 nel 2025 e 460 nel 2030.

I continui ordini di nuovi mezzi hanno reso necessario l’espansione dei cantieri di Jiangnan, a Shanghai - dove vengono costruiti sottomarini, portaerei e incrociatori - che sarà allargata del 50 per cento, occupando oltre dieci chilometri quadrati sul delta del Fiume azzurro. Ma anche a Wuhan, dove si concentra in particolare la produzione di sottomarini, si stanno ingrandendo i locali cantieri.

Mentre le immagini raccolte dal satellite Planet hanno rivelato che nel porto di Huludao (nella provincia nord-orientale del Liaoning) sarebbe in costruzione un super sottomarino a propulsione nucleare armato con missili balistici con una gittata di diecimila chilometri, capaci di raggiungere gli Stati Uniti.

Entro fine anno è atteso il varo della terza portaerei cinese la Tipo 003, che sarà molto simile alla Liaoning e alla Shandong, ma verrà dotata del sistema di decollo assistito da catapulta in uso su quelle statunitensi, che consentirà decolli e atterraggi più rapidi e numerosi.

Le portaerei cinesi dovrebbero salire a sei entro il 2040. Del mar cinese meridionale dovranno occuparsi invece soprattutto i cacciatorpedinieri da diecimila tonnellate “Tipo-55” recentemente raddoppiati (da tre a sei), e pronti a fare a “spallate” con le imbarcazioni dei vicini asiatici per difendere le pretese territoriali di Pechino.

Il fardello del doppio comando

Al XIX Congresso Xi ha tracciato la strada da seguire: modernizzazione di base delle forze armate entro il 2035 ed esercito di “prim’ordine” entro il 2049, per il centenario della Repubblica popolare cinese. Tuttavia gli ostacoli non mancano e non sono soltanto relativi ai ritardi tecnologici e operativi dell’Epl.

La dimensione del controllo - che con Xi si è fatta sempre più asfissiante - esercitata dal partito in ogni ambito rischia di limitare anche le capacità di combattimento della marina. Sulle navi dell’Epl vige infatti il “doppio comando”, con l’autorità condivisa tra il comandante e il commissario politico del partito, un sistema abbandonato dai sovietici già negli anni Quaranta, per l’evidente impossibilità di conciliare operatività e controllo burocratico nella guerra moderna.

Pechino è consapevole dei limiti attuali della sua marina, riassunti nei documenti ufficiali e nei siti militari nella formula delle “due capacità inadeguate” (liăng ge nénglì bùgòu), ovvero l’incapacità di combattere una guerra moderna. Una deficienza ammessa dallo stesso Xi Jinping che l’ha attribuita alla mancanza di una gestione “scientifica”, all’incapacità di coordinamento tra esercito e marina e al ritardo nel processo di riforma delle forze armate.

Una delle prime, più drammatiche divisioni in seno al partito fu quella consumatasi, nel 1959, tra Mao Zedong, fautore di un esercito popolare e dell’acquisizione dell’atomica e il maresciallo Peng Dehuai, l’eroe della Guerra di Corea che invece confidava nell’ombrello atomico sovietico e si batté per una professionalizzazione dell’Epl. La spuntò Mao e Peng, spogliato della divisa, fu umiliato e perseguitato fino alla morte durante la Rivoluzione culturale.

Xi Jinping prova oggi a conciliare l’imperativo maoista secondo cui è il partito che controlla il fucile e non viceversa, con l’impellenza della modernizzazione. Ma sfornare centinaia di navi con attrezzature avanzate potrebbe servire a poco se il partito continua a dare priorità assoluta all’indottrinamento ideologico dei quadri dell’esercito e della marina rispetto a un addestramento moderno.

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