Christophe Galtier, allenatore del Paris Saint Germain in odore di esonero, è stato posto, assieme al figlio adottivo e suo procuratore, John Valovic-Galtier, in stato di fermo per “discriminazione basata su una presunta razza o affiliazione religiosa”. Quando era al Nizza, stagione 2021-2022, si era lamentato, secondo l’accusa, con i dirigenti e aveva sbottato: «Considerando la realtà della squadra e della città, non possiamo avere così tanti neri e musulmani in organico».

Aveva anche riferito che la gente, incontrandolo per strada, era risentita perché una formazione così eterogenea quanto ad origine non era rappresentativa di Nizza. Il figlio aveva rincarato peggiorando la situazione: «Avete costruito una rosa di feccia, metà degli atleti il venerdì pomeriggio va in moschea». L’imputato-padre ha sempre negato presentando a sua volta querela per diffamazione.

Rivolte e integrazione

Sin qui i fatti. Dietro i quali, nei giorni dell’ennesima rivolta delle banlieue, si può leggere una doppia morale. Da una parte c’è la Francia dei diritti dell’uomo, del motto nazionale basato sulla trilogia liberté, égalité, fraternité, riversati in un codice giuridico di assoluta tutela e in base al quale Galtier viene incriminato.

Tanto più perché fa parte di quel mondo dove l’integrazione è riuscita grazie a un sistema meritocratico in cui non vale lo slogan “prima i francesi”, sottinteso bianchi, caro a Marine Le Pen e alle altre destre estreme.

Nessun allenatore manda in campo giocatori più scarsi basandosi sul colore della pelle o sulla fede. Ed è stata la mescolanza a garantire successi, in passato assai scarsi, che hanno fatto del paese una potenza sportiva, a cominciare dal calcio con la vittoria del mondiale in casa nel 1998 della famosa squadra “noir-blanc-beur”, replicata nel 2018 in Russia sempre con una formazione multietnica.

Da un punto di vista simbolico eroi che hanno solleticato l’orgoglio nazionale, marxianamente atleti che contribuiscono al business e allo spettacolo. Molti degli idoli degli stadi provengono dalle banlieue e se ne ricordano se parecchi di loro, contando sulla popolarità raggiunta, non esitano a denunciare l’incrudelirsi del fenomeno del razzismo, e basti citare l’indefesso lavoro di un Thuram, di un Dhorasoo, tra quelli ancora in attività Mbappe, Maignan, Kanté.

La repressione

Dall’altra c’è la Francia della faccia truce verso i francesi-colorati che non hanno un talento sportivo, relegati in periferie ghetto nei confronti dei quali si è sviluppata una xenofobia andata di pari passo con il crescere nei sondaggi dei partiti anti immigrazione.

Tutti accomunati dal luogo comune per il quale rubano i posti di lavoro, e se non hanno un’occupazione delinquono, rapinano, spacciano droga, quando non aderiscono a gruppi del fondamentalismo islamista. Per loro è stata costruita una narrazione ostile. Prima a parole.

Racaille”, feccia, disse Nicolas Sarkozy da ministro dell’Interno nel 2005, da ripulire “con il karcher”, un elettrodomestico per la pulizia industriale. E su quell’onda il linguaggio si è sbizzarrito fino a creare un terreno favorevole, concimato dalla paura dei galli d’origine controllata.

Gli attentati terroristici a metà degli anni Dieci (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza) hanno ulteriormente esacerbato il sospetto, alimentato l’odio e le divisioni. Sino a sfociare in una legislazione repressiva che ovviamente vale per chiunque ma che ha colpito soprattutto neri e magrebini.

Problemi di razzismo

È la legge del 2017, presidente Hollande un socialista, che ha esteso il concetto di legittima difesa al “refus d’obtempérer”. Tradotto, le forze dell’ordine sono autorizzate a utilizzare le armi se non ci sono altri modi di immobilizzare veicoli che rifiutano di fermarsi ai controlli e che sono “suscettibili di perpetrare nella loro fuga danni alla propria vita o a quella altrui”.

Risultato: 26 persone uccise dal 2017 ad oggi, 13 nel solo 2022, contro le 17 nei quindici anni precedenti. Oltre a un incremento vistoso dell’uso delle pistole da parte degli agenti, 165 casi in media l’anno dopo la riforma quando erano 119. Inutile aggiungere dove abitino e a che gruppi appartengono le vittime di questa escalation.

Coperti dal clima generale, persino incoraggiati dal potere politico in nome della tolleranza zero, i poliziotti sono stati spesso casualmente ripresi anche mentre esercitano violenze su persone disarmate. Ieri, dopo l’uccisione di Nael che ha scatenato le rivolte la portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani ha chiesto alla Francia di «affrontare seriamente i gravi problemi di razzismo e discriminazione sociale all’interno delle forze dell’ordine». Uno schiaffo a quella che si sempre considerata la patria dei diritti.

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