Sarà il contrasto con i sondaggi italiani, pressoché stagnanti negli ultimi mesi, ma quanto accaduto nei Paesi Bassi mercoledì entra di diritto tra le elezioni più sorprendenti degli ultimi tempi. Doveva essere, per molti, l’elezione che avrebbe portato Frans Timmermans, leader dell’alleanza progressista (GL-PvdA) in testa alle preferenze degli olandesi, forse perfino a diventare il prossimo primo ministro. Doveva essere, per altri, l’ennesima conferma dell’ondata globale della destra radicale, qui capitanata da Geert Wilders, forse non con i numeri di due anni fa, ma comunque con uno zoccolo duro piuttosto radicato. È stata, invece, una tornata piuttosto negativa per entrambi.

Delusioni e dimissioni

Drammatica quasi per Timmermans, anche personalmente: l’ex vicepresidente della Commissione europea, architetto del Green Deal, ha rassegnato le dimissioni da leader di partito già pochi minuti dopo i primi exit poll, che riportavano l’alleanza progressista come quarta lista del paese. Non ideale, in ogni caso, per Wilders: «Gli elettori si sono espressi. Speravamo in un esito diverso», ha commentato il leader del Pvv su X. Il leader dell’ultradestra olandese paga un’esperienza al governo non certo rosea: undici mesi all’interno di una coalizione a quattro litigiosissima e abbandonata troppo presto per poter essere considerato, in futuro, un partner affidabile per un nuovo esecutivo.

Per Wilders, oltre ad aver perso 11 seggi rispetto ai 37 del 2023, c’è anche la beffa di piazzarsi secondo partito per pochissimo. Il Pvv ottiene infatti il 16,7 per cento dei voti, a una distanza minima (circa 15mila voti, con i dati attuali) dai vincitori assoluti di questa tornata elettorale: i “liberal-progressisti” dei Democratici 66, per la prima volta primo partito del paese.

D66 è catalogabile come un partito liberale: a Bruxelles fa parte del gruppo Renew Europe, ma in patria si posiziona sul centrosinistra rispetto agli altri liberali del Vvd, l’ex partito di Mark Rutte. D66 è cresciuto in maniera esponenziale rispetto a due anni fa (+17 seggi, e una percentuale dei consensi quasi triplicata), e soprattutto in maniera completamente inaspettata, negli ultimi giorni prima del voto.

Il leader è Rob Jetten, 38 anni – se diventasse primo ministro sarebbe il più giovane della storia del paese – ex ministro per l’Energia e il Clima nell’ultimo governo Rutte e alla guida del partito dal 2023.

Soprannominato “Robot Jetten” per il modo un po’ goffo in cui era solito rispondere alle domande, Jetten – che potrebbe anche diventare il primo premier apertamente omosessuale dei Paesi Bassi – ha ammesso durante la serata elettorale di essere diventato «più grigio e più esperto», ma la sua campagna elettorale ha comunque puntato su un messaggio positivo e di rinnovamento: impossibile non notare la somiglianza tra lo slogan del partito, “Het kan wél” – si può fare, all’incirca – e il “Yes we can” di obamiana memoria. Se dovesse ottenere l’incarico, una delle certezze sarebbe un avvicinamento dei Paesi Bassi all’Ue: «Vogliamo smettere di dire “no” di default e iniziare a dire “sì” a fare di più insieme», aveva dichiarato Jetten in un’intervista a Politico questa settimana, «non potrò mai sottolineare abbastanza quanto sarà grave la situazione dell’Europa se non procederemo con un’ulteriore integrazione».

Il rebus-consultazioni

In ogni caso, è ancora molto presto prima di poter parlare del prossimo governo: il premier uscente, Dick Schoof, ha scherzato sul fatto che delle consultazioni veloci per formare un governo sarebbero «molto poco olandesi», e il leader del partito di destra JA21, Joost Eerdmans, ha addirittura affermato di preferire «un governo stabile tra qualche mese piuttosto che un governo stabile prima di Natale», lasciando intendere che i colloqui potrebbero prolungarsi anche nel 2026.

Se i risultati finali, come sembra probabile, dovessero confermare la leadership di D66, è molto probabile che a quel punto a Rob Jetten sarebbe conferito l’incarico di esplorare la possibilità di guidare un governo. I numeri, però, non aiutano a chiarire il quadro: un governo “centrista”, composto da D66, i liberali del Vvd e i popolari del Cda, avrebbe 66 seggi, rispetto ai 76 richiesti per una maggioranza.

La leader del Vvd, Dilan Yesilgoz, ha escluso la possibilità di partecipare a un governo che sia «di centro-sinistra» – e che quindi comprenda D66 e l’alleanza GL-PvdA – e i tre partiti, che insieme arrivano a 68 seggi, avrebbero comunque bisogno di trovare l’appoggio di qualcuno nella galassia dei partiti minori.

La legge elettorale olandese, infatti, completamente proporzionale, permette l’ingresso nella Tweede Kamer di un numero cospicuo di partiti con un numero limitato di seggi: in questa tornata sono stati sette, ad esempio, i partiti a ottenere un numero di seggi pari o inferiore a tre. Ovviamente, più partiti verranno coinvolti, più il rischio di una coalizione divisa e, in ultima istanza, fallimentare, sarebbe elevato. Un’opportunità che Geert Wilders non vede l’ora di cogliere.

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