La gravità della situazione in Israele è sotto i nostri occhi, le immagini dei civili uccisi e delle grida dei rapiti fanno rabbrividire. Scioccanti appaiono l’efficacia dell’attacco di Hamas e l’impreparazione dei servizi e dell’esercito israeliani.

Una prima lezione da trarre (e non solo per Israele) è che contro avversari motivati l’uso di sistemi avanzati non è onnipotente.

In questi ultimi anni Israele si è cullato nell’illusione che essere uno degli stati più tecnologici al mondo l’avrebbe difeso da tutto. È accaduto il contrario: tale abbaglio ha accecato le difese.

Ciò significa che senza politica non c’è sicurezza assoluta. L’altro grande autoinganno di questi anni è stato di pensare che il problema palestinese fosse ormai residuale. Quante volte la destra e l’estrema destra israeliane l’hanno affermato dicendo ad alleati ed amici che il loro aiuto o parere non serviva?

Chi scrive era presente qualche anno fa ad un consiglio europeo di Bruxelles quando Netanyahu disse ai ministri degli esteri dell’Ue: «Non ci saranno mai due stati; non ci sarà mai uno stato palestinese, la questione è ormai chiusa una volta per tutte».

Oggi la ferita è aperta e Israele ha bisogno di tutti i suoi amici. Affermando «siamo in guerra e sarà lunga» il premier ha dato indirettamente ragione ad Hamas: il nemico non è più definibile come un fenomeno terrorista del passato ma come un vero e proprio esercito nazionale palestinese che ha preso il posto di ciò che fu l’Olp decenni fa.

Hamas ha mutato pelle: da raggruppamento terrorista millenarista ha assunto i lineamenti (molto più pericolosi) di movimento nazionale. Malgrado ciò che possiamo pensare di Hamas, tale è la sua auto-percezione, così la vedono in molti nel mondo arabo e per assonanza nel sud globale: dobbiamo tenerne conto.

Il problema palestinese esiste eccome, più micidiale che mai e andrà risolto con un negoziato, perché la guerra e la forza – come questi decenni hanno dimostrato – non bastano a dirimerlo.

Oggi è il tempo della reazione e della battaglia ma domani dovrà venire quello della politica, per non subire ulteriori abbagli. Molto dovrà essere rimesso in discussione, innanzitutto dentro il parlamento di Israele, inclusa la politica degli insediamenti.

L’urgenza per europei e americani è anche fare di tutto per proteggere le comunità ebraiche nei nostri paesi e nel mondo, ora in pericolo. Certamente i tempi non sono facili né favorevoli alla trattativa: il clima generale di guerra – ampliato dal conflitto in Ucraina – facilita derive violente ed estreme come quelle di Hamas.

Guerra chiama guerra e c’è da temere ulteriori escalation non solo contro Israele. La politica degli accordi di Abramo subirà una frenata ma non va abbandonata.

Il più grande insegnamento da trarre dal dramma attuale è che le crisi e le guerre vanno sempre concluse con la politica, anche se ciò costa fatica e rinunce. È l’unica vera garanzia per la sicurezza di Israele. 

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