Ancora un nulla di fatto per Patrick Zaki. L’esito dell’ultima udienza per il rinnovo della custodia cautelare – tenutasi ieri nell'aula bunker del carcere di Tora al Cairo – per il ricercatore egiziano dell’università di Bologna, arrestato nella capitale egiziana il 7 febbraio 2020, è l’ennesimo rinvio di altri 45 giorni. Zaki, dunque, resterà in carcere. A dare l’annuncio, su Twitter, Amnesty Italia. Respinta anche la richiesta, avanzata ieri dai legali del 29enne, di un cambio dei giudici che seguono il caso. Secondo gli avvocati di Zaki, la sostituzione dei magistrati che si occupano del caso sarebbe l’unica possibilità per interrompere i continui rinnovi della detenzione.

«Questo accanimento deve finire subito. Vorremmo che il governo italiano facesse subito una cosa: convocare l'ambasciatore egiziano a Roma per esprimere tutto lo sconcerto per questo accanimento nei confronti di Patrick Zaki e chiedere che sia rilasciato», ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, che ha aggiunto che «finora lo sforzo del governo italiano non è stato sufficiente».

«L'Italia – ha continuato Noury – dovrebbe unire le forze con l'Austria perché Vienna ha lo stesso problema con uno studente della Central european university (Ceu)», che è stato arrestato in Egitto e che «ha iniziato lo stesso percorso di Patrick, con le stesse accuse, un anno dopo». In questo modo, secondo il portavoce di Amnesty Italia, si potrebbe fare «pressione in due» e «portare il tema all'interno dell'Unione europea».

Più di un anno di detenzione

Patrick è nelle mani delle autorità egiziane da ormai 421 giorni. Era il 7 febbraio del 2020 quando fu prelevato da alcuni agenti della National Security Egiziana dall'aeroporto del Cairo mentre tornava da Bologna, la città dove stava frequentando un master in studi di genere. Durante le prime 24 ore di detenzione è stato torturato e tenuto in un edificio della National Security senza che gli fosse permesso di avere contatti con gli avvocati o con i suoi familiari. È riapparso l'8 febbraio nel commissariato di Mansoura e, dopo alcuni trasferimenti, da circa un anno si trova recluso nel carcere di Tora, nell'ala dedicata ai detenuti in attesa di giudizio.

Le accuse per il giovane ricercatore - le più gravi sono associazione terroristica e propaganda sovversiva - sono state spiccate sulla base di alcuni post Facebook che la difesa non ha mai potuto visionare. I suoi avvocati hanno sempre puntualizzato che il profilo social citato dalla Procura non è quello del giovane studente ma un fake: quello usato dal ragazzo è Patrick Zaki, mentre le autorità riferiscono di un account a nome di Patrick George Zaki.

I post sui social non sono l'unica prova contestata dalla difesa. C'è anche la perquisizione messa a verbale dalla procura e avvenuta a Mansoura nel settembre del 2019. Secondo le poche pagine che i legali hanno a disposizione, la polizia si sarebbe presentata nella casa di famiglia di Patrick, mentre il giovane ricercatore era già a Bologna, e avrebbe setacciato la sua camera alla presenza della madre. Ma la famiglia Zaki vive da diversi anni al Cairo e nel settembre del 2019 era impossibile che nella casa di famiglia ci fosse qualcuno. Qualunque prova a carico presentata dalla procura non è tuttavia contestabile dalla difesa sino a quando non ci sarà un processo.

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