Migliaia di delegati riempiranno da oggi a Pechino la Grande sala del popolo affacciata su piazza Tian’anmen. Presenzieranno alle cosiddette lianghui (“due sessioni”), gli appuntamenti politici annuali più importanti in Cina, che prevedono l’approvazione delle proposte discusse nei mesi precedenti dal Partito comunista: la Conferenza politica consultiva del popolo cinese e l’Assemblea nazionale del popolo.

La prima sessione, iniziata questa mattina, vede la partecipazione di circa 2.200 delegati, espressione di varie componenti della società cinese come associazioni di categoria, membri delle minoranze etniche, rappresentanti di Taiwan, Hong Kong, e Macao. Ha il compito di discutere questioni economiche, sociali, religiose, sanitarie e formula proposte da sottoporre al governo. L’Assemblea nazionale del popolo che comincerà domani, invece, comprende 3.000 delegati, espressione delle province, dei comuni e delle regioni autonome, ed è l’unico organo dotato a tutti gli effetti di potere legislativo nel paese. Approva le leggi e i piani di sviluppo economico già decisi dalla leadership del Pcc, elegge i principali dirigenti dello stato, si pronuncia su questioni di politica estera.

Anche quest’anno, come già nel 2020, a causa del Covid-19 i due eventi dureranno solo una settimana anziché le due canoniche e consentiranno la partecipazione solo ai giornalisti di stanza a Pechino.

Lo stato dell’arte

Le “due sessioni”, spesso inopportunamente poco considerate a casa nostra, sono in realtà il momento in cui il governo cinese delinea lo “stato dell’arte” economico e sociale del paese, svela la sua agenda politica e lancia i progetti per il futuro. I meeting di quest’anno sono particolarmente importanti, perché cadono a pochi mesi dal centenario della nascita del Partito comunista cinese che si celebrerà a luglio – gli anniversari in Cina sono sempre occasioni di bilancio, di slancio verso nuovi obiettivi e di grande orgoglio –, arrivano dopo un anno di pandemia mondiale e vedranno il varo del prossimo piano quinquennale (2021-2025) da cui dipenderanno il futuro del Partito e l’eredità del presidente della Repubblica Xi Jinping. Nonostante nel 2020 la Cina sia stata l’unico paese sviluppato a poter sfoggiare un Pil non sottozero (+2,3 per cento), pochi si aspettano che domani, durante il suo discorso, il premier Li Keqiang fornisca il dato della previsione di crescita. Proprio un anno fa, per la prima volta, quel numero così importante non è stato annunciato.

Nell’attuale contesto di incertezza dovuto alla pandemia e alle dispute commerciali, con le lianghui la Cina coglierà l’occasione di mostrarsi forte e sicura per essere riuscita a controllare l’epidemia di Covid-19 anche senza aver immunizzato la popolazione (nonostante la “diplomazia dei vaccini” abbia già ampiamente diffuso i sieri cinesi in Asia, Africa e America Latina, la campagna vaccinale nel Celeste impero per ora arranca) e si dichiarerà consapevole e motivata a voler risolvere una serie di problematiche, interne e non, che si fanno sempre più pressanti.

Le agevolazioni

Dal grave problema demografico di una popolazione in rapido invecchiamento che dovrebbe essere affrontato con l’introduzione di congedi parentali, sussidi e agevolazioni fiscali per incentivare le coppie a fare più figli, ai nodi della povertà e del benessere di tutti i cittadini che nonostante gli annunci ufficiali trionfalistici di Xi Jinping delle scorse settimane, rimane una delle principali questioni sul tavolo della leadership cinese. La priorità da ora in poi sarà la “prosperità comune”, il cui perseguimento passerà anche attraverso le politiche per riequilibrare i grandi divari tra le aree urbane e le aree rurali del paese.

Molti si aspettano, inoltre, un segnale per capire come la Cina intenda mantenere l’impegno di raggiungere l’obiettivo emissioni zero (“carbon neutrality”) entro il 2060, visto che ci si aspettano annunci su ingenti investimenti su green economy e progetti legati alla sostenibilità.

Nei prossimi sette giorni verrà sicuramente confermata anche la politica della “doppia circolazione”, inaugurata da Xi lo scorso anno, che consiste nell’incentivare i consumi interni senza rinunciare all’export e al sostegno delle imprese cinesi sui mercati globali; sarà quindi ribadita la volontà di portare avanti un processo di crescita economica sempre più orientato verso la “produzione di qualità” anziché verso la “produzione di quantità” e si rafforzerà il concetto di “autarchia” applicato soprattutto al settore hi tech. Il quattordicesimo piano quinquennale sarà infatti il primo della storia a dedicare un capitolo alla tecnologia. Tratterà soprattutto il tema dell’autosufficienza tecnologica come fattore imprescindibile per lo sviluppo e la sicurezza dell’industria nazionale.

La Cina, nonostante gli enormi progressi degli ultimi anni, continua a rimanere indietro per quanto riguarda il settore dei semiconduttori, ovvero i microchip da cui sempre più dipende un’enorme quantità di oggetti di utilizzo quotidiano. Secondo la società di ricerche di mercato sui semiconduttori Ic Insights, nel 2020 solo il 6 per cento dei semiconduttori usati dalle aziende cinesi era Made in China. Una posizione di svantaggio che forse potrà modificarsi quando si passerà alla produzione di microchip basati sull’intelligenza artificiale - campo in cui la Cina è forte - ma che fino a quel momento condanna Pechino a una posizione di costante dipendenza da Usa e Taiwan e di conseguenza la lascia in balia degli strappi geopolitici.

Saranno all’ordine del giorno dei due consessi anche l’aumento della spesa militare e il programma “China Vision for 2035”, un ambizioso piano che mira a completare la trasformazione del gigante asiatico da “fabbrica del mondo” a potenza globale entro il 2035. Voluto da Xi Jinping in persona, servirà a rafforzare la sua posizione mentre si avvicina il XX congresso del Pcc previsto per il 2022 che, ormai sembra scontato, confermerà il suo terzo mandato.

Molte delle iniziative politiche sul tappeto nascono dalla necessità di limitare i danni in un momento in cui i rapporti con gli Stati Uniti sono ai minimi storici dagli anni Settanta. La Cina non è favorevole al decoupling, il processo che dovrebbe spezzare la correlazione tra l’economia cinese e quella statunitense, ma vuole farsi trovare pronta. Le prime dichiarazioni del nuovo presidente Biden, nonché le nomine dei suoi stretti collaboratori, fanno intuire che la sua politica nei confronti di Pechino non si scosterà molto da quella del suo predecessore Trump, se non per il tentativo di ricompattare le tradizionali alleanze in chiave di contenimento anticinese.

L’approccio di Biden

Il nuovo inquilino della Casa Bianca, come è stato evidente dalla sua prima telefonata con Xi Jinping, insisterà più di Trump sul capitolo diritti umani, che in questo momento vede diversi terreni di scontro aperti: Taiwan, lo Xinjiang, Hong Kong. Proprio Hong Kong avrà un ruolo centrale sul tavolo delle due sessioni, perché il Pcc proporrà una riforma elettorale per l’ex colonia britannica che sancirà come solo i «patrioti possano governare Hong Kong». Tradotto: solo chi segue la linea di Pechino può occupare posizioni di rilievo nel ramo esecutivo, legislativo e giudiziario del governo di Hong Kong.L’esperto di affari internazionali della Renmin University di Pechino Shi Yinhong, intervistato dal South China Morning Post, ha ricordato come in passato alcuni annunci abbiano spaventato e portato anche a ritorsioni da parte degli altri paesi – ad esempio la guerra dei dazi da parte di Trump – e che pertanto la Cina sembra aver imparato la lezione: «Adesso molti sono sensibili rispetto a cosa dice o fa la Cina.

Quindi, per non spaventare nessuno, il governo potrebbe decidere di essere più vago riguardo alcuni suoi obiettivi, anche se fermo nel continuare a perseguirli».

Ciò che appare certo è che la Cina dei prossimi anni cercherà di essere meno dipendente dall’estero a livello economico e più concentrata sulla propria dimensione interna. Ciononostante, non smetterà di proporsi al mondo come guida alternativa a quella degli Stati Uniti d’America.

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