Non bisogna unire le due guerre – Ucraina e Medio Oriente – sotto nessun pretesto. I nostri avversari vorrebbero congiungerle, dimostrando che l’occidente “collettivo” (secondo la definizione di Vladimir Putin) è all’origine di tutti i mali del pianeta e di conseguenza è divenuto il nemico comune. Unire le due crisi (e magari altre) sarebbe concedere a Mosca (o a Teheran) un vantaggio anche simbolico che non merita.

Soprattutto sarebbe da ingenui: è sempre meglio tenere divisi i propri rivali, per casomai affrontarli uno alla volta, in momenti diversi e con mezzi diversi. Il mondo è caotico, ma schiacciare gli antagonisti (veri e potenziali) tutti in uno stesso campo rende all’Europa e agli Usa la vita più difficile: è una logica tipica dell’attuale carenza di politica, preda della mentalità bellicista che in genere dà subito in escandescenze emozionali anche senza sapere dove sta andando.

Al contrario ci vuole calma e finezza di ragionamento: in un mondo in cui molti stati sono divenuti più assertivi e più influenti, in un pianeta in cui le medie potenze (come Turchia, Iran, Arabia Saudita, ma anche Messico, Indonesia, senza parlare dell’India che aspira a grande potenza) vogliono contare di più, all’occidente serve un nuovo soft power politico per accompagnare l’hard power economico-militare che già possiede.

È necessario contrastare il mito “neocoloniale” in cui i nostri avversari vorrebbero schiacciarci: accettarlo per unirli contro di noi sarebbe lo sbaglio peggiore. L’esempio di Riad è significativo: fino a prima del 7 ottobre il principe ereditario MbS era molto aggressivo verso l’occidente, non ascoltava gli americani – l’alleato tradizionale – e faceva molte mosse spregiudicate riavvicinandosi anche a Teheran e Ankara.

Ora, con una guerra mediorientale in corso, le cose cambiano. Non che la storia vada indietro: le ambizioni dei nuovi protagonisti resteranno vivaci. Solo che l’occidente ha l’occasione di riprendere in mano alcuni quadranti, se lo vorrà. Il tema del declino occidentale infatti è (quasi) tutto interno: siamo divenuti troppo egoisti e autoreferenziali, riluttanti tanto da non voler essere disturbati dal disordine globale. Non è possibile.

Tuttavia per svegliarci dal nostro sonnambulismo non serve un allarmismo che ci faccia sentire circondati da nemici: è una manovra autolesionista. Così come non è giusto credersi colpevoli di tutti i guai del mondo, non è altrettanto saggio additare tutti gli altri come nemici. Tale scelta emotiva segue le passioni nazionaliste, sovraniste o populiste molto in voga in questi ultimi anni nella nostra politica e, di riflesso, dentro la pubblica opinione. Tali eccitazioni vanno abbandonate per ritrovare l’arte della politica che conosce la storia e sa interpretare ciò che accade. Si può ad esempio notare che in Medio Oriente è ripresa l’annosa competizione tra arabo-sunniti e irano-sciiti.

Ci sono più manifestazioni filopalestinesi nelle nostre università che nelle strade arabe. È dunque il momento per riprendere piede in certi scenari abbandonati da tempo, come il Libano, o di sciogliere alcuni nodi come quello della leadership palestinese. Su quest’ultimo punto può cimentarsi soltanto l’Europa, dal momento che tutti gli altri protagonisti d’area hanno perso parecchia influenza. Ci ha provato anche Mosca, ed è andata male. Senza una leadership unitaria palestinese che abbia legittimità e riconoscimento, la questione di Gaza e della West Bank resterà insoluta o ostaggio dei suprematisti e millenaristi israeliani. Non è poco: l’Unione europea inizi da lì.

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