Anche gli avversari di Joe Biden si sono complimentati per l’operazione con cui l’amministrazione ha individuato e ucciso il leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri. «Questo sarà il “momento Bin Laden” di Biden: è una enorme, enorme vittoria per gli Stati Uniti», ha detto Brett Baier, anchorman di Fox News, la macchina mediatica della destra americana, evocando l’ovvia analogia con l’uccisione del principe del terrore negli anni di Barack Obama.

Il presidente ha usato l’enfasi tipica di questi casi per spiegare che la «promessa al popolo americano di continuare a condurre operazioni antiterrorismo efficaci in Afghanistan e oltre» è stata mantenuta. Nel sottotesto, ma nemmeno troppo sotto, si legge la speranza del comandante in capo che l’eliminazione di un grande leader del terrorismo dopo un caccia ultraventennale si trasformi in un capitale di consenso.

È merce di cui Biden ha disperatamente bisogno in vista delle elezioni di midterm a novembre: il suo tasso di popolarità è al 39 per cento, secondo i rilievi di FiveThrityEight, più basso di quello che aveva Trump allo stesso punto della presidenza. 

Il problema è che le uccisioni mirate dei capi delle reti terroristiche, per quanto dotati di enorme valore simbolico e forieri di ottimi spunti per gli sceneggiatori di Hollywood, non danno mai quel surplus di approvazione che i presidenti sperano.

Al massimo generano flebili rimbalzi nei sondaggi che vengono riassorbiti nel giro di qualche settimana o soppiantati nella mente degli elettori da nuove e più impellenti urgenze.

Obama aveva sperato di fare dell’uccisione di Bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan, un momento – se non il momento – decisivo del suo primo mandato, tanto che i suoi strateghi elettorali avevano coniato lo slogan “General Motors è viva, Bin Laden è morto”.

Ma l’effetto sulla popolarità presidenziale dell’operazione dei Navy Seals per uccidere il nemico supremo degli Stati Uniti è stato passeggero, e lo slogan non ha mai davvero attecchito.

Rimbalzo breve

In concomitanza con la morte di Bin Laden, all’inizio di maggio del 2011, il tasso di popolarità di Obama è effettivamente cresciuto di 7 punti, secondo i dati dell’istituto Gallup, fino a raggiungere il 51 per cento, uno dei momenti più alti dei suoi due mandati, se non si considera la luna di miele dei primi mesi dopo la storica elezione del primo afroamericano alla Casa Bianca.

Nel giro di tre settimane l’incremento era già quasi del tutto svanito e a giugno il gradimento presidente è tornato ai livelli a cui era quando Bin Laden era ancora in vita. 

Un andamento analogo si è ripetuto anche quando Donald Trump ha annunciato che il leader dell’Isis, Abu Bakr al Baghdadi, era morto durante un raid delle forze speciali nel suo rifugio in Siria. Ma con una cruciale differenza.

Nelle settimane successive all’annuncio della fine di ottobre del 2019, Gallup ha registrato un rimbalzo di 4 punti nella popolarità di Trump, indice che poi è cresciuto leggermente anche nei mesi successivi.

L’incremento è stato però determinato da altri fattori: la prima fase dell’accordo commerciale con la Cina, l’approvazione del nuovo Nafta con Messico e Canada e soprattutto la procedura d’impeachment, che ha distrutto la residua credibilità presidenziale fra i suoi critici, ma ha anche consolidato il rapporto con i repubblicani hardcore.

Al tempo dell’uccisione di Bin Laden i sondaggisti conservatori Glen Bolger e Jim Hobart avevano elencato alcune ragioni per cui eventi di questo tipo non producono l’effetto che i presidenti sperano.

Le tragedie rafforzano

Una ragione è che le cattive notizie consolidano il consenso più di quelle buone. «Gli eventi militari e di sicurezza nazionale con più impatto sono quelli negativi, e l’11 settembre è l’esempio più evidente. I fatti positivi, come il primo incontro fra Reagan e Gorbacëv o la cattura di Saddam Hussein, danno generalmente un rimbalzo minore e più limitato nel tempo».

Un’altra ragione è che durante le crisi economiche nella percezione degli elettori non c’è spazio per altre preoccupazioni. Tutto il resto, anche quello che in un altro frangente storico è sembrato decisivo e imprescindibile, diventa accessorio e passa in secondo piano. 

Nel 2011 gli Stati Uniti erano ancora nel pantano della Grande recessione, e nemmeno la più spettacolare operazione antiterrorismo avrebbe potuto alleviare le sofferenze domestiche.

Oggi gli economisti discutono se dopo due trimestri di contrazione del Pil si possa effettivamente parlare di recessione, ma in ogni caso è l’inflazione a dominare i pensieri degli americani impoveriti e del presidente in piena crisi di consensi.

La morte di al Zawahiri non può essere il “momento Bin Laden” di Biden, dal momento che nemmeno la morte dello stesso Bin Laden è stata, a conti fatti, il “momento Bin Laden” di Obama.

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