- Da quando le proteste popolari hanno avuto inizio, più di quattrocento cittadini inermi – tra i quali diversi bambini – sono stati trucidati in varie zone del paese.
- Proprio sabato, mentre nella capitale si svolgevano le solenni parate militari per il Giorno delle Forze armate, nelle città di Yangon e Mandalay altre cento persone cadevano sotto i colpi dei soldati.
- La preoccupazione della comunità internazionale non sembra aver fatto presa sulla Cina – principale partner commerciale della Birmania – che, fino a questo momento, ha derubricato il colpo di stato a un mero “rimpasto” di governo.
«Fare ricorso alla violenza per avanzare delle richieste, mettendo a repentaglio la stabilità e la sicurezza, è certamente inappropriato». Per quanto difficile sia immaginarlo, non era alle forze armate (il Tatmadaw in birmano) che Min Aung Hlaing – il demiurgo del colpo di stato militare del 1° febbraio scorso – si riferiva nel pronunciare tali parole: l’atto d’accusa, infatti, era rivolto ai cittadini del suo paese, che, a suo dire, avrebbero provocato, sparando per primi, la reazione dei sol



