Mentre in Donbass i russi avanzano, il presidente Usa attacca Zelensky: «Non è un angelo». Intanto Mosca depenna l’Italia dalla lista dei possibili mediatori: «Relazioni mai così basse»
Trump e Putin sono pronti a parlarsi . «Anche subito», dice il presidente Usa. «Aspettiamo solo un segnale», gli risponde il portavoce del Cremlino e poco dopo lo stesso Putin: «Lo abbiamo sempre detto – e lo voglio sottolineare – siamo pronti a parlare». Non c’è ancora una data, ma, conoscendo l’indole dei due personaggi, il dialogo ormai potrebbe avvenire in qualunque momento.
Putin sembra non vedere l’ora di parlare direttamente con il suo omologo americano, tagliando fuori Kiev. Ieri ha aggiunto una nuova perla alla collana di lusinge che sta inanellando per persuader il leader Usa. Senza il «furto» della vittoria della sua vittoria nel 2020, ha detto Putin, non ci sarebbe stata nessuna guerra.
Carinerie frutto delle pressioni di Trump, che proprio in questi giorni ha minacciata nuove sanzioni se Putin non si siederà al tavolo delle trattative? Probabilmente sono dovute più alla necessità di mostrarsi almeno disposto a trattare, tanto sul fronte interno che su quello internazionale. Nell’ultima settimana, diverse fonti vicine al Cremlino hanno rivelato alle agenzie internazionali che i leader russo sarebbe preoccupato per le condizioni economiche della Russia, mentre molti nell’élite e nel resto del paese vedono con favore l’inizio dei negoziati, il 54 per cento della popolazione, secondo le ultime rilevazioni della società indipendente Levada.
Ma Putin non sembra disposto ad accettare negoziati a qualsiasi condizione. Intanto nella scelta dei partner: Kiev non può partecipare, ha detto ieri Putin. Zelensky è delegittimato e si è legato le mani approvando una legge che gli vieta di trattare con il leader russo. Sempre ieri, il ministero degli Esteri di Mosca ha depennato anche l’Italia come possibile mediatore, un paese con cui le relazioni sono più basse «dai tempi della seconda guerra mondiale», ha scritto il ministero degli Esteri in un comunicato.
La portavoce del ministero, Maria Zakharova, ha poi silurato il piano franco-inglese di schierare un contingente di pace lungo l’attuale linea del fronte, per proteggere un eventuale cessate il fuoco. «La presenza di truppe Nato in Ucraina per noi è inaccettabile», ha detto Zakharova. I negoziati, ha ribadito più volte Putin, dovranno essere «realistici» e partire dalla realtà dei fatti sul campo, con l’esercito russo in lenta avanzata che occupa un quinto del paese. Trattive sì, ma gli alleati di Kiev devono essere pronti ad accettare una lunga lista di condizioni.
Gli attacchi di Trump
Trump aveva già messo in chiaro che, sotto la sua presidenza, gli ucraini avrebbero ricevuto un trattamento diverso da quello ricevuto dall’amministrazione Biden. Ieri, ha criticato direttamente il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per la prima volta dal suo insediamento. «Non è un angelo», ha detto, aggiungendo che anche lui ha avuto la sua parte nel provocare guerra.
Parole che piacciono a parte della sua base da sempre scettica sulla versione ufficiale del conflitto – l’intervista andava in onda sul network conservatore Fox News - ma che contribuiscono anche a mettere pressione su Zelensky. Anche lui dovrà sedersi al tavolo senza la garanzia di ottenere tutto ciò che vuole.
L’elenco delle richieste ucraine però è molto più corto di quello russo ed è ridotto ormai all’essenziale. La perdita temporanea dei territori occupati è stata accettata e Zelensky chiede agli alleati soltanto garanzie militari: l’ingresso nella Nato che assicurerà la fine della minaccia di aggressioni militari russe almeno per il prossimo futuro. Se non l’ingresso nell’alleanza, che al momento appare impossibile, almeno una protezione equivalente – come un contingente di pace con truppe americane, come proposto pochi giorni fa dallo stesso Zelensky. Su questo punto, lo scontro con Trump, l’isolazionista che ha già promesso di ritirare 20mila soldati americani dalle loro basi in Europa, è inevitabile.
Il fronte
A fare pressioni su Kiev non c’è solo Trump, ma anche una situazione militare sempre più critica. Nel Donbass meridionale, La roccaforte di Velyka Novosilka, da cui nel 2023 era partita l’ambiziosa controffensiva ucraina, è praticamente circondata. Caduto questo bastione, alle truppe russe si aprirà la strada verso le regioni di Dnipro e Zaporizhia, aree dove non si era ancora combattuto e sguarnite di difese. Il resto del Donbass, a quel punto, rischia di cadere, con la perdità dell’area urbana di Kramatorsk-Slovyansk, l’ultima nella regione ancora in mano ucraina.
L’esercito ucraino non sembra in grado di rovesciare questa situazione. Mancano le reclute e quelle che arrivano al fronte sono spesso anziane e poco motivate. Le diserzioni e gli atti di insubordinazione sono sempre più frequenti. Negli ultimi mesi, i russi hanno ottenuto diversi successi grazie al fatto che intere unità ucraine si sono rifiutate di combattere o non hanno occupato le posizioni assegnate a causa dell’inesperienza.
Gran parte dell'esercito ucraino continua a difendere le sue posizioni e le avanzate russe si continuano a misurare in pochi chilometri alla settimana, ma l’attrito di quasi tre anni di guerra sta iniziando a farsi sentire nelle forze armate. Gli alleati chiedono a Kiev di reclutare più soldati, abbassando l'età minima di mobilitazione da 25 a 18 anni – una mossa molto impopolare in Ucraina. Trump non si è ancora giocato questa carta, ma secondo la stampa americana, alcuni suoi consiglieri vorrebbero porla come condizione per fornire nuovi aiuti militari a Kiev.
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