Di questi tempi non conviene iniziare una guerra perché poi non finisce più. Ciò vale per i forti e per i deboli, per l’aggressore e l’aggredito: non c’è differenza nel fatto che se la guerra perdura, ingoia tutte le risorse umane e materiali possibili e imbarbarisce chi la combatte.

Se mai lo è stata, oggi la guerra non è sicuramente più la “politica con altri mezzi” ma un’immensa dissipazione di energie e di vita, senza vittoria e senza fine. Basta guardare alla Siria: un conflitto che dura da circa 12 anni e non accenna a terminare.

Ci sono fasi alterne, alcune di grande intensità e altre di minore virulenza, ma non c’è pace. Di conseguenza non si può ricostruire o pensare di tornare ad una vita normale. Dalla Siria fuoriesce un’emorragia umana senza fine e chi vuole rientrare trova mille difficoltà. L’economia permane di sussistenza, la scuola non funziona, la sanità è ridotta al lumicino: insomma non ci sono le condizioni minime vitali salvo che per una sparuta minoranza.

Una guerra permanente

È il destino che rischia il Sudan ma anche gli stati del Sahel. Tutto ciò non dipende più dai protagonisti del conflitto ma dalla guerra stessa, che possiede una sua logica interna: non terminare e prolungarsi a dispetto di tutti.

È noto infatti quanto sia facile iniziare un conflitto ma quanto poi sia difficilissimo terminarlo. Anche chi ha scatenato i combattimenti si infila in un tunnel di odio che non controlla più, in un groviglio di ragioni e torti da non riuscire più a uscirne. E cresce il rischio di false flag o fake news come vediamo in Russia ora. La guerra tende a diventare permanente o a trasformarsi in forme di violenza diffusa molto difficili da controllare. 

Sorgono delle situazioni ambigue in cui si creano spazi ibridi dove non esiste più alcun ordinamento o se ne  installa uno alternativo non riconosciuto a livello internazionale, spesso criminale.

Collaborazioni criminali

Numerose aree del mondo oggi sono in questa situazione. Il Sahel vive in uno stato di guerra endemica in cui i jihadisti hanno cambiato strategia adattandosi al contesto. Per non provocare reazioni internazionali alzando il livello di allarme globale, non attaccano più le capitali o le grandi città, se non sporadicamente, ma puntano a una forma di “cogestione” degli stati. Per questo sembra che stiano cercando di mettersi de facto d’accordo con i fragili poteri centrali, quasi sempre nelle mani di militari inesperti. L’obiettivo è dividersi la conduzione del paese e, con essa, le sue risorse.

Non è la stessa cosa che fanno le milizie in Kivu? O la Wagner in Repubblica Centrafricana? O le reti criminali in certe zone del pianeta al di fuori di ogni controllo? O infine i miliziani in Sudan?

Tra l’altro è più facile per le mafie globalizzarsi e collaborare, che per gli stati nazionali. È sempre possibile spartirsi le ricchezze in termini di materie prime, contrabbando o traffici illeciti di ogni tipo (incluso quello di armi o di carne umana). Per i protagonisti di questo mondo sotterraneo, la pace diviene non soltanto una chimera ma qualcosa da evitare: meglio rimanere in stato di guerra perenne a bassa intensità, preservando al massimo i reciproci affari, cercando ogni tanto di erodere quelli del vicino.

La guerra infinita

Anche l’utilizzo manipolato della storia a scopo di protezione dei propri interessi, può trasformarsi nella trappola della guerra infinita che si prolunga al di là delle stesse intenzioni di chi l’ha iniziata. La Russia non sfugge a questa regola.

C’è una battuta che circola tra gli specialisti di cose russe: non è il futuro della Russia ad essere imprevedibile ma il suo passato. Strumentalizzare la storia è sempre stata una mania dei poteri assoluti per giustificare le proprie scelte.

La guerra russa di aggressione all’Ucraina è maturata nell’ambito degli interessi di potere: allargare la propria zona di influenza sfruttando la presunta debolezza occidentale. Certamente Putin puntava a continuare a vendere il gas all’occidente ma voleva nel contempo aumentare di peso geopolitico globale.

La sua idea era di inserirsi, a spese dell’Ucraina, nella contesa Usa-Cina dilatando i propri confini. Tale calcolo frettoloso si è rivelato errato ed ora corre ai ripari usando la retorica storica. Ma la conseguenza è che anche Putin si è ficcato nella trappola della guerra perenne: non sa come uscirne e sta creando attorno alle sue frontiere una zona di conflitto endemico che ostacolerà qualunque piano creando le condizioni per situazioni ibride fuori da ogni controllo.

L’uso dei mercenari ne è un prodromo evidente, così come la competizione esistente tra esercito russo regolare e milizie varie. Un grande paese che si affida a tali strumenti mette a rischio sé stesso. Anche l’occidente deve stare attento: la guerra permanente rende l’Ucraina invivibile e non conviene nemmeno all’Europa. È questa la nuova trappola di Tucidide: non solo la guerra inevitabile ma la guerra infinita.

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