Nella pubblicistica italiana, l’evoluzione della Russia postcomunista è stata prevalentemente analizzata attraverso una ricognizione storica degli avvenimenti che hanno contraddistinto la politica degli anni Novanta. Molti libri sono stati scritti sulla Perestrojka e sulla Glasnost’ di Michail Gorbačëv, che hanno contribuito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica; decisamente meno sono state, invece, le analisi sull’imprinting politico e organizzativo di Boris Eltsin nella nascita della Federazione russa nel dicembre 1993.

Nel caso della Russia di Vladimir Putin solo negli ultimi anni e, soprattutto, con l’inizio della guerra in Ucraina, sono stati pubblicati articoli e monografie che hanno ripercorso l’ascesa al potere dell’ex funzionario dell’apparato di sicurezza sovietico.

Diversi sono stati, infatti, i contributi che hanno spiegato le caratteristiche della cosiddetta “verticale del potere” che, a partire dal Duemila, ha subordinato il parlamento, il governo e la magistratura del paese alla volontà del capo del Cremlino e del suo “giardino d’oro”.

Il “superpresidenzialismo russo”, che non contempla alcun peso e contrappeso istituzionale al potere del presidente nella Costituzione federale, ha costituito la cornice entro la quale lo stile della leadership di Putin è stato efficacemente riassunto nel termine “putinismo”.

Sebbene le origini del putinismo abbiano il prodromo nell’ingegneria costituzionale di Eltsin, vi è stato indubbiamente il tentativo da parte del presidente Putin di offrire al popolo russo una nuova identità che si è progressivamente consolidata negli ultimi vent’anni al perseguimento dei seguenti obiettivi: la stabilità politica ottenuta con il consolidamento dello Stato, lo sviluppo economico del paese, concentrato essenzialmente sulle risorse energetiche, e una nuova politica estera, capace di far dimenticare l’umiliazione subita dall’Urss con la sconfitta della Guerra fredda attraverso una “rinascita” della superpotenza russa, che, insieme alla Cina, sfida gli Stati uniti alla guida dell’ordine internazionale.

Tuttavia, per una più approfondita ed esaustiva comprensione delle trasformazioni politiche della Russia contemporanea sui piani domestico e internazionale non possiamo basarci esclusivamente sulla mera analisi (geo)politica.

Frutto di cronache, analisi ed esperienze personali, il libro intitolato La Russia moralizzatrice. La crociata del Cremlino per i valori tradizionali della giornalista Marta Allevato fornisce un quadro articolato e “a tappe” nei «peccati che l’occidente, secondo Putin, ha esportato in Russia e che è necessario sradicare, se non si vuole assistere alla sua distruzione: liberalismo, secolarismo, pacifismo, omosessualità e femminismo».

Il putinismo può essere declinato in uno stile decisionale, in un insieme di riforme, volte a centralizzare il potere, ma, come rileva l’autrice, è, soprattutto, «un’agenda moralizzatrice» che ha avviato una «moderna crociata, che mira a entrare letteralmente nelle camere da letto dei russi, imporgli come e chi amare, in che cosa credere, per cosa morire».

Le azioni politiche

Con la mossa tipica degli scacchi, la “rokirovka” Putin torna al potere nel 2012, dopo la breve parentesi presidenziale (2008-2012) del suo leale amico Dmitrij Medvedev, e dà inizio a una politica revisionista in ambito internazionale, più aggressiva nei confronti del mondo occidentale, di cui l’annessione illegale della Crimea nel 2014 costituisce l’esempio più eclatante sino alla recente invasione in Ucraina.

Ma è nella politica interna che Putin fa «la guerra alla sua stessa società», contrastando le opposizioni extraparlamentari che protestano contro il risultato delle elezioni parlamentari nella piazza Bolotnaja nel dicembre 2011, paragonando a “preservativi” i nastrini bianchi simbolo della Rivoluzione della neve, e perseguitando l’azione politica del dissidente Aleksej Navalnyj e dei suoi seguaci, definiti dal Cremlino come «criceti del computer».

La «cronologia della crociata per i valori tradizionali e della lotta all’occidente», presente nella parte finale del libro, racchiude efficacemente l’insieme delle azioni politiche che dal 2007 a oggi Putin ha messo in atto per preservare il suo potere e plasmare la società secondo i suoi valori, che altro non sono che l’espressione di un conservatorismo russo in netta antitesi ai principi delle liberaldemocrazie occidentali. Con il richiamo frequente a diversi aneddoti, episodi e interviste, l’autrice approfondisce non solo i rapporti politici, ma anche le dinamiche socio-culturali e antropologiche che hanno, ad esempio, portato a «sotterrare l’ateismo di Stato» e creare una “sinfonia” tra stato e chiesa ortodossa che fornisce quasi un’investitura divina a Putin e diffonde la predicazione del patriottismo, recuperato dall’eredità sovietica nella strategia del patriarca Kirill.

Il binomio stato-chiesa rappresenta una “cooperazione pragmatica”, una base ideologica che ha determinato l’aumento di leggi repressive contro gli oppositori al regime putiniano, i media indipendenti e l’omosessualità. Le cosiddette “leggi antigay” criminalizzano gli omosessuali attraverso una propaganda che «spaventa la popolazione suggerendo che la diffusione delle relazioni non tradizionali porterà a una diminuzione del tasso di natalità e, a lungo termine, all’estinzione».

In quest’ottica il Cremlino e la chiesa ortodossa hanno cercato di favorire programmi a sostegno delle famiglie numerose, ma i divorzi e gli aborti sono in aumento, così come la vendita di alcolici. Inoltre, la guerra in Ucraina avrebbe generato insicurezza, paura del futuro nell’opinione pubblica, fomentando ancora di più nella mente di Putin l’ossessione del problema demografico.

D’altronde, «in Russia si guarda alla donna come alla custode e garante della felicità domestica». Se le cose in una coppia non funzionano, ci si aspetta sia lei a risolvere la situazione, per lo più accettando sacrifici e compromessi. Con questi presupposti non stupisce l’aumento di episodi di violenza domestica, soprattutto durante il periodo della pandemia, ma che cela una questione ben esplorata nel libro e che riprende un celebre proverbio: «Se un uomo non ti picchia, non ti ama».

Resistenza femminista

Il capitolo sul femminismo russo descrive, infatti, alcune situazioni in cui la donna è antropologicamente oppressa dall’uomo per condizioni storiche che risalgono alla servitù della gleba e rappresentate nella letteratura antica con il Domostoj (Ordine domestico), che insegnava «come picchiare in modo socialmente accettabile la donna».

Vi sono anche pagine che descrivono i tentativi di indipendenza e libertà delle donne con un particolare approfondimento sul movimento “Me Too” in Russia, ridicolizzato dalla propaganda e considerato come una degenerazione morale dell’occidente, e un approfondimento sul pacifismo femminista, attraverso l’azione del movimento “Resistenza femminista”, sorto qualche giorno dopo la guerra in Ucraina, che riunisce circa una quarantina di attiviste e che ha ricevuto il Premio Aquisgrana per la pace. La situazione dei diritti delle donne russe è sempre più delicata e pericolosa perché esiste anche una proposta di bandire il femminismo, ritenuto «estraneo ai valori tradizionali e importato dall’occidente».

Non mancano anche episodi più frivoli, come quelli descritti nel paragrafo “A lezione di conquista” che tratta delle lezioni e degli escamotage per “sposare un oligarca, un imprenditore” e diventare una soderžanka (mantenuta), anche frequentando i corsi della scuola di sesso.

Dal serio al faceto, due facce contrapposte della medesima medaglia, che riassumono le contraddizioni e la complessità storica e culturale di un paese che, per usare le parole di Anton Dolin, raffigurano «due Russie, una conservatrice che preme su quella liberale», ovvero «un doppio pensiero» che non può essere spiegato solamente con gli “attrezzi della politica”, ma con una ricerca sul campo che l’autrice ha efficacemente elaborato in questo originale volume.

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