La procura di Roma ha chiuso le indagini sull’omicidio e la tortura di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso al Cairo tra fine gennaio e inizio febbraio del 2016: sono stati accusati di sequestro di persona quattro 007 della agenzia di sicurezza egiziana, uno di loro è stato inoltre accusato di omicidio aggravato. Per il quinto indagato di cui la procura aveva dato notizia le indagini sono state archiviate per insufficienza di prove. Il comunicato dei magistrati parla delle torture subite da Giulio, colpito con calci, pugni e lame roventi «per motivi abietti e futili e con crudeltà». Ci sono dei testimoni oculari che hanno visto Giulio dopo il suo sequestro il 25 gennaio e prima del ritrovamento del suo corpo senza vita il 3 febbraio.

Le accuse

Gli accusati hanno un tempo di oltre venti giorni per depositare ulteriori memorie, al termine la procura, sulla base di nuovi elementi, deciderà sull’esercizio dell’azione penale.

Il procuratore capo Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco oggi sono intervenuti presso la commissione di inchiesta parlamentare sull’omicidio di Giulio Regeni. «Questo è un esito importante perché non era un esito affatto scontato», ha detto Prestipino. La procura, ha aggiunto, «ha fatto veramente di tutto per accertare tutti gli elementi utili, lo dovevamo alla memoria di Giulio Regeni, a tutti noi, all’essere magistrati di questa Repubblica».

Gli atti sono partiti «con rito degli irreperibili»: la procura egiziana infatti non ha fornito gli indirizzi degli agenti accusati. Si tratta «del generale Tariq Sabir, di Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif». Magdi Ibrahim Abdelal Sharif è l’agente che risponde anche di lesioni e omicidio aggravato. Il reato di tortura è stato introdotto solo nel luglio 2017. Gli atti sono arrivati ai difensori d'ufficio italiani, non essendo stato possibile fare l'elezione di domicilio.

Nei confronti del quinto indagato, Mahmoud Najem, «non essendo gli elementi raccolti sufficienti allo stato - dicono gli inquirenti - a sostenere l'accusa in giudizio, è stata depositata richiesta di archiviazione al gip». Gli inquirenti egiziani, che avrebbero dovuto cooperare, fino all’ultimo non hanno fornito neanche gli indirizzi degli indagati per notificare loro gli atti.

La settimana scorsa Prestipino aveva incontrato il procuratore generale d’Egitto per comunicargli le intenzioni dell’Italia. Dallo scambio era emersa una nota congiunta che aveva esposto le posizioni inconciliabili delle procure. Il risultato, ha detto ancora il procuratore capo, è stato raggiunto «nonostante le difficoltà». Adesso «intendiamo sottoporlo al giudice per le valutazioni del caso». Gli elementi sono «significativi e rilevanti e acquisiti attraverso una collaborazione indiretta con la procura egiziana». Un rapporto, questo, «laborioso, difficoltoso e complesso, che noi riteniamo non pienamente compiuto. Lo riterremo tale quando risponderà a tutte le nostre rogatorie che attendono appunto risposta».

Colaiocco ha detto che sono altri 13 «i soggetti nel circuito degli indagati» di cui la mancata collaborazione dell'autorità egiziana ha impedito di accertare le posizioni.

Le torture

Ci sono testimoni di quello che è accaduto a Regeni. «Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace», ha detto uno dei cinque testimoni sentiti dagli inquirenti di Piazzale Clodio nell'ambito dell'inchiesta sul caso Regeni. Le testimonianze sono state citate da Colaiocco durante l’audizione davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta. Due testimoni hanno visto Regeni dopo il sequestro il 25 gennaio.

«Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso - ha detto uno dei due -.  Una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c'è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale». Il 28 o 29 gennaio «ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro anni ricordo quella scena. L'ho riconosciuto alcuni giorni dopo, da una foto sui giornali e ho capito che era lui».

Un altro dei testimoni ha raccontato del 25 gennaio: «Mentre ero alla stazione di Dokki ho visto arrivare il ragazzo che solo successivamente ho riconosciuto come Giulio Regeni che, mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il Consolato - ha proseguito -. In quel frangente ho visto bene il ragazzo italiano, che arrivava con quattro persone in abiti civili. Contestualmente ho visto uno di questi quattro soggetti con un telefono in mano». Poi «è stato fatto salire su un'auto egiziana, è stato bendato e condotto in un posto che si chiama Lazoughly», ha aggiunto.

Nel comunicato dei magistrati si legge di «acute sofferenze fisiche» messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. I magistrati hanno scritto che nei confronti di Regeni, per «motivi abietti e futili e con crudeltà», sono state «cagionate lesioni» e «la perdita permanente di più organi».

L’azione ha causato «numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti a opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l'uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide e anelastiche».

Prestipino ha detto che «per l'omicidio di Giulio Regeni si svolgerà un solo processo e si svolgerà in Italia con le garanzie procedurali secondo i nostri codici. Questo processo avrà al proprio centro la valutazione dell'impianto probatorio che la Procura di Roma ha in questi anni raccolto e messo in piedi».

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