Il processo al cardinale Angelo Becciu e ad altre nove persone accusate a vario titolo si aprirà a fine luglio. Così ha deciso il tribunale vaticano che ieri ha rinviato a giudizio il porporato, la sua donna di fiducia Cecilia Marogna, i finanzieri Gian Luigi Torzi e Raffaele Mincione e diverse figure apicali della Autorità di informazione finanziaria e della ex segreteria di stato della Santa Sede.

Le quasi cinquecento pagine della richiesta di citazione a giudizio, frutto delle indagini della giustizia della santa sede e del nucleo di polizia economico finanziaria che collabora con la procura di Roma, cambiano profondamente il ruolo dell’ex sostituto alla segreteria di stato vaticana. Per l’ufficio del promotore di giustizia della Santa sede, il porporato che papa Francesco ha fatto dimettere, è il vero «regista» dell’operazione di compravendita degli immobili di Sloan Avenue che secondo gli inquirenti ha fatto perdere 18 milioni di euro alle finanze vaticane, ma è anche un depistatore che ha cercato di screditare i magistrati e di interferire con l’inchiesta anche prima di esservi coinvolto.

L’obolo di San Pietro

La storia è abbastanza nota: i magistrati scoprono che quasi mezzo miliardo dei fondi dell’obolo di San Pietro sono stati utilizzati come garanzia di operazioni finanziarie speculative, anche attraverso la partecipazione ai fondi maltesi dell’onnipresente finanziere Raffaele Mincione. Secondo l’accusa Becciu cerca di rientrare di parte di quel denaro con l’operazione immobiliare di Londra, appoggiandosi su mediatori come l’ex ambasciatore Giovanni Castellaneta e l’ex deputato di Forza Italia, Giancarlo Innocenzi Botti, soci della società di Gianluigi Torzi non indagati, e cercando di convincere la segreteria di stato dell’esistenza di due offerte generose per il palazzo su cui erano già in corso le indagini. 

Quando Becciu fa la sua comparsa nelle indagini però i protagonisti di quella operazione agli occhi dei magistrati sembrano altri: Torzi, appunto, e Mincione. Solo analizzando decine di chat, mail e documenti e ascoltando le deposizioni volontarie di monsignor Perlasca, gli inquirenti ricostruiscono una storia diversa, che rende assai più comprensibile la severità con cui papa Francesco ha trattato il porporato, fino all’anno passato prefetto della congregazione per le cause dei santi.

L’accusa di depistaggio

Da questa posizione, Becciu continua a occuparsi degli affari della segreteria di stato di cui è stato sostituto e anche delle indagini dei magistati. In un sms inviato a Enrico Crasso consulente per gli affari finanziari della segreteria, Becciu invita a organizzare una «campagna mediatica per screditare i nostri magistrati». I quali ora nella richiesta di citazione a giudizio lo definiscono senza mezzi termini «un depistatore». Il cardinale è accusato anche di per i suoi tentativi di far ritrattare monsignore Perlasca che ha iniziato a collaborare con i magistrati.  

Gli inquirenti definiscono quello ramificato attorno al cardinale un «marcio sistema predatorio lucrativo».

La difesa

Da parte sua Becciu ieri ha commentato ampiamente la notizia del rinvio a giudizio, continuando a proclamarsi innocente, dice che contro di lui si stanno tessendo «trame oscure», una gogna mediatica a cui lui reagisce «soffrendo in silenzio».


 

 

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